LA GUERRA COMMERCIALE

5G, Huawei pronta a disinvestire nei Paesi non più “amici”: si inizia dalla Silicon Valley?

Il presidente Liang Hua al Forum di Davos ha annunciato che l’azienda si focalizzerà sui paesi e i clienti per i quali è benvenuta. E Zhu Min, ex della Banca popolare della Cina e del Fmi, avverte: a rischio anche gli investimenti nella culla americana dell’hi-tech

Pubblicato il 23 Gen 2019

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Huawei potrebbe ritirarsi dalle alleanze tecnologiche strette con organizzazioni pubbliche e private nei paesi in cui è oggetto di ostracismo. Lo ha detto Liang Hua, presidente del fornitore cinese di attrezzature Tlc finito nell’occhio dei ciclone per questioni di sicurezza negli Stati Uniti e in diversi paesi occidentali che temono che l’azienda possa fornire supporto, con i suoi prodotti di rete, al cyber-spionaggio attuato da Pechino. Le accuse, sempre respinte da Huawei e dalla Repubblica popolare cinese, hanno indotto Usa, Australia, Gran Bretagna, Germania e altri governi ancora a proporre o valutare misure legislative per escludere Huawei e i provider cinesi dai contratti per le nuove reti 5G.

Liang Hua, che ha rilasciato le sue dichiarazioni al World economic forum di Davos, ha affermato che i leader dei governi occidentali sono invitati a visitare e osservare i laboratori di ricerca di Huawei se questo può aiutare a fugare i loro timori che le attrezzature dell’azienda siano passibili di utilizzo ai fini dello spionaggio. Riferendosi all’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e vice presidente del board dell’azienda cinese, e alla richesta di estrazione da parte degli Stati Uniti, Liang ha espresso “fiducia” nel sistema giudiziario canadese.

“Noi non rappresentiamo una minaccia per il futuro della società digitale”, ha affermato Liang. Il presidente di Huawei ha sottolineando che le autorità americane non hanno finora portato alla luce alcuna prova che la tecnologia del gruppo cinese possa servire da “cavallo di Troia” per i servizi segreti o attività di intelligence di Pechino. Tuttavia, ha continuato Liang, se l’accesso di Huawei a certi mercati sarà ostacolato e i clienti cominciano a fare marcia indietro, “noi trasferiremo i nostri partenariati tecnologici in paesi dove siamo i benvenuti e dove si può collaborare”.

“Ci concentreremo non solo sui paesi ma sui clienti per i quali siamo i benvenuti”, ha puntualizzato Liang. “Perché alla fine sono i clienti che hanno la facoltà di prendere le decisioni. Sul 5G offriamo servizi migliori ai clienti. Concentremo i nostri sforzi sui clienti che scelgono Huawei”.

Liang ha ribadito che Huawei “si adegua completamente” alle leggi locali, come già affermato nei giorni scorsi dal fondatore di Huawei (e padre della Cfo Meng), Ren Zhengfei. Il Wall Street Journal ha scritto nei giorni scorsi che il dipartimento di Giustizia americano è nella fasi “avanzate” di un’inchiesta che potrebbe condurre all’incriminazione di Huawei.

Liang, come riporta The Straits Times, ha dichiarato che Huawei andrà avanti col pianificato investimento di 20 miliardi di dollari per ciascuno dei prossimi cinque anni per le reti 5G.

La destinazione di tali investimenti potrebbe però essere modificata in base al mutato quadro politico e anche la Silicon Valley potrebbe soffrirne, secondo quanto ha indicato Zhu Min, ex vice governatore della Bank of China ed ex vice managing director del Fmi, al sito americano Cnbc.com. “L’aspetto psicologico è profondamente cambiato. La guerra tecnologica è una guerra strettamente interconessa, con i capitali degli Usa che si spostano ovunque e i capitali della Cina che si spostano ovunque” e, alla luce degli eventi legati a Huawei, “posso dire che i soldi della Cina che vanno verso la Silicon Valley si fermano. E dagli Usa nessuno vorrà investire in Cina”.

I colossi hitech cinesi Baidu, Alibaba e Tencent hanno investito ingenti capitali nella Silicon Valley. Per esempio, Tencent ha il 40% di Epic Games, l’azienda del North Carolina che produce giochi di successo come “Fortnite.” Baidu possiede laboratori dedicati all’intelligenza artificiale nell’hub californiano.

Molte start-up sono sostenute anche da capitali cinesi e già all’inizio di gennaio la Silicon Valley aveva suonato l’allarme sulla possibile perdita di preziosi investimenti: un sondaggio condotto da Reuters tra una quarantina di attori dell’industria hitech a stelle e strisce ha svelato che il sentiment è pessimista e per molte società, dopo il record di 3 miliardi di dollari arrivati nelle casse di imprese innovative Usa nel 2018, il 2019 potrebbe essere off limits per molti dei capitali che affluiscono dalla Cina.

Il rallentamento si è già registrato nella seconda metà del 2018: le startup si sono affrettate a chiudere accordi e round di finanziamento entro agosto, quando è entrato in vigore negli Usa un nuovo regime regolatorio che amplia i poteri di scrutinio e blocco da parte del governo federale sugli investimenti esteri nelle aziende degli Stati Uniti. La regola vale per tutti i paesi, ma il presidente Donald Trump ha sottolineato che il primo beneficio sarà una riduzione del controllo che la Cina può esercitare sulle tecnologie più innovative sviluppate in America. La normativa non è ancora definitiva, ma gli effetti sono già visibili, ha riportato Reuters, con accordi tra aziende americane e investitori cinesi “quasi azzerati”.

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