il caso

5G, l’inspiegabile e anacronistica mossa della Regione Toscana



Indirizzo copiato

Nonostante i provvedimenti governativi per accelerare la realizzazione delle nuove reti e le numerose evidenze scientifiche, che hanno già sgombrato da anni il campo dai pericoli sulla salute, approvata una delibera che dà il via a uno studio di durata biennale e finanziato con oltre 220mila euro per mettere sotto osservazione sei città. Sul piede di guerra gli scienziati: “Spreco di fondi pubblici”

Pubblicato il 24 set 2024



5g

Oltre 220mila euro per condurre uno studio relativo a una domanda che – almeno secondo l’intera comunità scientifica internazionale – ha già una risposta: il 5G può causare danni alla salute? Incurante delle evidenze emerse finora, la Regione Toscana ha autorizzato e finanziato l’ennesima ricerca sul tema, commissionandola ad Arpat (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) e Ars (Agenzia regionale di sanità), con l’obiettivo di monitorare per due anni i centri urbani con una popolazione prossima o superiore a 100mila abitanti (nella fattispecie Pisa, Livorno, Lucca, Firenze, Prato e Arezzo). Arpat, in particolare, avrà il compito di misurare l’esposizione all’inquinamento da ultrabroadband. Ars dovrà invece tracciare un’indagine epidemiologica che evidenzi eventuali correlazioni con tumori alla testa e al sistema nervoso, leucemie e linfomi non-Hodgkin.

Il tutto avviene in un momento in cui il governo spinge proprio per accelerare l’infrastrutturazione del Paese sotto il profilo dell’ultrabroadband wireless: lo scorso aprile è entrato in vigore l’innalzamento dei limiti dei campi elettromagnetici a 15 V/m disposto dalla legge 214/2023, che permetterà di amplificare l’adozione del 5G, mentre a luglio il decreto Coesione ha introdotto un emendamento di Fratelli d’Italia che permette di bypassare il ruolo delle amministrazioni locali in tema di pianificazione delle installazioni nelle aree bianche.

Le critiche di Burioni e Remuzzi

La delibera, firmata da Monia Monni e Simone Bezzini, rispettivamente assessori all’Ambiente e alla Sanità della giunta toscana, stanzia per la precisione 222.720 euro e anziché attirarsi le critiche di addetti ai lavori e imprese che operano nell’ambito delle telecomunicazioni, ha suscitato l’ironia della comunità scientifica italiana: “Complimenti alla Regione Toscana per l’oculato impiego dei soldi pubblici”, scrive per esempio sui social Roberto Burioni, ordinario di virologia all’Università San Raffaele di Milano, che precisa: “Uno studio amplissimo dell’Oms, al quale ha partecipato anche l’Istituto Superiore di Sanità, ha già dimostrato che non ci sono legami con leucemie e linfomi”.

Giuseppe Remuzzi, nefrologo e direttore dell’Istituto Mario Negri, rincara la dose: “Burioni ha ragione, ci sono centinaia di studi che hanno analizzato il fenomeno. Quello del 5G è un problema che la scienza si è posta: ma è stato studiato bene e la conclusione è stata che non ci sono pericoli per la salute”, ha detto lo scienziato, specificando che “sul 5G, fare ricerca non è di per sé sbagliato, ma in questo caso credo sia inutile e che forse risponda a pressioni populistiche”.

In difesa del progetto, che punta a valutare diverse caratteristiche sociali e demografiche della popolazione, come l’impatto su diverse fasce d’età e le condizioni socio economiche per individuare potenziali sottogruppi più a rischio, parla il coordinatore dell’Osservatorio di Epidemiologia dell’Agenzia regionale di Sanità, Fabio Voller: “Sappiamo che la stragrande maggioranza degli studi sostiene che non ci siano conseguenze per la salute, ma una piccola parte arriva a conclusioni diverse. Per questo, visto che sul tema c’è un interesse forte da parte della popolazione, è un fatto positivo che enti accreditati facciano un’indagine seria”.

La revisione commissionata dall’Oms

Il problema è che di indagini serie, per l’appunto, ne sono già state condotte e pubblicate parecchie. L’ultima in ordine di tempo risale a meno di un mese fa: la nuova revisione sistematica guidata dall’Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency (Arpansa), commissionata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e pubblicata sulla rivista Environment International, ha esaminato oltre 5mila studi, identificando i più rigorosi dal punto di vista scientifico. La revisione, di fatto, scagiona il 5G da qualsiasi accusa di stampo più o meno complottistico. “Dato il breve periodo di tempo trascorso dall’introduzione della tecnologia 5G, che opera a frequenze più elevate, non ci aspettavamo di trovare studi che trattassero l’associazione tra l’uso dei telefoni cellulari 5G e il rischio di neoplasia”, si legge nello studio.

“Tuttavia, sono stati condotti studi epidemiologici sui lavoratori dei radar esposti a campi elettromagnetici con frequenze superiori ai 6 GHz, che sono stati considerati per l’inclusione nella revisione. L’esposizione di interesse per i tumori nella regione della testa consiste nell’energia emessa dai telefoni cellulari portatili durante le chiamate vocali, con il dispositivo a contatto con la testa. La comunicazione e il trasferimento di dati da e verso i dispositivi sono stabiliti e regolati dalle stazioni di base. I segnali periodici per l’aggiornamento della posizione e l’eventuale traffico che si verificano quando il dispositivo è in modalità stand-by non sono rilevanti per l’esposizione della testa, perché il telefono di solito non viene tenuto vicino ad essa”.

Articoli correlati

Articolo 1 di 4