Il decreti attuativi della riforma della Pubblica amministrazione includono tra le varie misure anche l’istituzione del domicilio digitale entro fine 2017. Sono circa tre anni che questa riforma è sulla carta ma finora non si è mai concretizzata. Sarà dunque il momento decisivo
Di che cosa si tratta e che cosa cambierà per i cittadini? Il domicilio digitale è un recapito elettronico (indirizzo email) che il cittadino decide di usare per le comunicazioni con la PA. Si partirà con gli indirizzi di posta certificata ma il governo sta studiando anche canali alternativi visto che la Pec, almeno quella pubblica, non è decollata.
Il passo successivo sarà l’abolizione dell’obbligo di conservazione dei documenti se questi sono già in possesso di un ufficio.
Il domicilio digitale, insieme all’identità digitale e all’anagrafe unica, rappresentano i tasselli fondamentali della cittadinanza digitale ovvero l’evoluzione dei diritti e dei doveri del cittadini ai tempi delle nuove tecnologie.
Nel 2010 fu l’allora ministro della PA, Renato Brunetta, a mettere il primo tassello della cittadinanza digitale, ma con scarso successo, con il varo della Cec-Pac: la posta elettronica certificata gratuita per le comunicazioni tra cittadini e PA.
La Cec-Pac doveva rappresentare la testa d’ariete del piano E-gov 2012, lo strumento che avrebbe fatto fare il salto digitale ai cittadini che si relazionano con l’amministrazione e all’amministrazione stessa. L’obiettivo di Brunetta era quello di abbattere il numero di raccomandate A/R – la Pec gratuita ha infatti lo stesso valore della raccomandata – destinate alla PA con conseguente aumento dell’efficienza degli enti pubblici nell’erogazione dei servizi.
Ma quegli obiettivi – sia a livello di numero sia di prestazioni – non sono stati raggiunti e, a oltre quattro anni dal lancio del servizio gestito da Poste e Telecom, le caselle attive sono poco più di 1 milione e 700mila mentre superano di poco le 500mila unità le richieste di attivazione che non hanno avuto seguito: il che vuol dire che i cittadini non hanno fatto il passo successivo per dotarsi del servizio ovvero andare presso gli sportelli postali per il riconoscimento – la Cec-Pac funzionava anche come strumento di identificazione digitale quindi era necessario un contatto “diretto” con il richiedente.
A pesare sul mancato decollo del servizio la mancanza di obblighi vincolanti con relativa sanzione per le amministrazioni inadempienti, che ha poi fatto sì che gli enti abbiano preferito rimanere fedeli alla comunicazione via Internet se non addirittura a quella più tradizionale via raccomandata A/R. Inoltre non è stato mai definito, da parte delle PA, un piano di attivazione dei servizi web, tra cui la Cec-Pac rientra. Con il risultato che al cittadino non è dato sapere a che cosa serva, nella pratica, lo strumento.
Alla fine del 2014 l’Agenzia per l’Italia digitale ha deciso di sospendere progressivamente il servizio di Postacertificat@ (Cec-Pac), facendo convergere tutte la posta certificata sul sistema Pec”.
D’altronde il servizio non è riuscito a decollare in questi anni: l’82% delle caselle attive non ha mai inviato messaggi. E, secondo l’Agenzia, una delle ragioni dello scarso utilizzo può essere associata alla sovrapposzione con la Pec. “Con la progressiva sospensione di Cec-Pac – evidenziava l’Agenzia – vengono recuperati quasi 19 milioni di euro da investire in altri servizi ai cittadini e imprese, come delineato nell’ultimo documento Crescita digitale”.