L’attuale Authority (commissari più presidente) scade il 16 maggio. Anche se già si parla di un possibile slittamento che il governo starebbe prendendo in considerazione: del resto la legge, in assenza di organigramma, consente di prorogare gli organi collegiali di 60 giorni. Un rinvio che andrebbe davvero a segno se venisse impiegato per cambiare le regole del gioco: perché quest’anno, con la riduzione a 4 dei commissari, la faccenda si complica. Rischiando di consegnare nelle mani di un solo gruppo parlamentare la designazione dell’intero consiglio o di un’intera commissione. Vediamo perché.
I commissari, distribuiti in due commissioni – “reti e infrastrutture” e “prodotti e servizi” – vengono eletti dal Parlamento. Finora ogni Camera eleggeva 4 commissari (ogni deputato e senatore votava due nomi, uno per ciascuna commissione), ma con il dimezzamento ne eleggerà solo due. Se le regole rimangono le stesse – un solo nominativo per ciascun deputato e senatore – un gruppo parlamentare di maggioranza relativa potrebbe eleggere, a maggioranza semplice, due membri in entrambi i rami del parlamento. Oppure entrambi i membri di una stessa commissione: con gravi effetti di distorsione per un organismo “indipendente”.
Per questo si stanno studiando soluzioni in grado di correggere le procedure evitando rischi di “accaparramento”. Va in questo senso l’emendamento presentato dal senatore Luigi Zanda (Pd), con il quale si punta a far votare per il componente del consiglio anziché per il componente delle singole commissioni. I due nominativi più votati, nei due rami del parlamento, saranno espressione in questo modo di almeno due diversi raggruppamenti.
Nel caso invece venga mantenuta l’attuale impostazione (indicazione dei singoli componenti le commissioni), secondo gli esperti sarà necessaria l’introduzione di un criterio di maggioranza qualificata così da attenuare il pericolo di una prevaricazione da parte di un gruppo parlamentare. Altrimenti non rimane che la strada di un accordo blindato tra partiti per procedere alla nomina del Presidente, contestualmente a quella dei commissari, previa condivisione dei nominativi che dovranno essere votati in aula da tutta la maggioranza, all’insegna del fair play istituzionale: ma si tratta di una congiuntura rara. Un’altra proposta più radicale arriva da Francesco Vatalaro, presidente del Comitato Ngn Italia di Agcom. Vatalaro punta a ridurre la durata di Agcom da 7 a 5 anni. E chiede – come aveva fatto Linda Lanzillotta – che i nuovi componenti non svolgano da due anni incarichi politici o di lavoro in aziende dei settori controllati. Per evitare accordi spartitori Vatalaro suggerisce l’adozione di un meccanismo a “doppio turno” per l’elezione dei Commissari: un primo livello di scelta potrebbe coinvolgere le due Commissioni Parlamentari, secondo competenza, per predisporre una lista di candidature “sopra soglia” per competenza e pertinenza dei curricula; poi audizioni obbligatorie dei candidati con pubblicazione sui siti del Parlamento dei curricula e dei verbali delle audizioni, e per finire “secondo turno” con votazione in Aula ed elezione dei Commissari da parte delle Camere a maggioranza qualificata. L’attuale commissario Agcom Nicola D’Angelo fa notare che “con le nuove regole è possibile che nelle commissioni che si occupano di temi come la par condicio, si formino maggioranze precostituite”. Inoltre sulla deontologia “servono sanzioni chiare altrimenti si lavora nell’irresponsabilità totale”. Il Consigliere accende i riflettori sul movimento (Vogliamo trasparenza”) nato in rete “non per scegliere i candidati, ma perché questi candidati abbiano i requisiti per affrontare questioni delicate come la libertà della rete, il copyright e la neutralita”. Una modifica viene proposta anche dai senatori Marco Perduca (Radicali) e Donatella Poretti (Pd) per imporre la conoscenza dei candidati “ex ante e non ex post”. R.C.