Agcom, la partita si riapre. Più accesa e tempestosa di prima. Con lo slittamento del voto alla Camera tornano in ballo candidature vecchie e nuove, si apre la strada a ipotesi di quote rosa, e si accendono riflettori sulle modalità per rendere più “trasparenti” le elezioni. Basteranno due settimane per assicurare un voto in grado di garantire commissari (e presidente) eccellenti doc? O basteranno solo per trovare un accordo politico “vecchio stile” che scongiuri però, come scrive Guido Romeo su Wired, il “rischio dispersione con esiti in stile Parma a 5 stelle”? Il nuovo iter, ha detto ieri il presidente della Camera Gianfranco Fini, prevede che siano i gruppi parlamentari a indicare i propri candidati i cui curricula (devono pervenire entro il primo giugno alla presidenza della Camera) “saranno poi inviati a tutti i deputati”. I componenti delle due authority dovranno comunque essere eletti entro il 14 luglio nel caso dell’Agcom, entro il 16 giugno nel caso del Garante della privacy.
Per Nicola D’Angelo la nuova procedura segna “un passo avanti”. Anche se “curriculum non vuol dire trasparenza”. Ora, dice il commissario Agcom, “serve spostare l’attenzione, finora focalizzata sulle competenze dei candidati, su cosa ne pensano di temi fondamentali che saranno al centro dell’attività dei prossimi anni delle Autorità”. Non solo per Agcom, ma anche per la privacy dove “ci sono in ballo temi cruciali, dalla gestione dei dati, fonte di straordinario guadagno e potere per chi li gestisce, alla questione del pluralismo nei media”.
Oltre alla “soluzione Fini” secondo D’Angelo è possibile fin da subito, a “norma zero”, procedere a una serie di audizioni dei candidati nelle sedi competenti (le commissioni Trasporti della Camera e del Senato), in seduta pubblica, prima del voto in Aula. Così da poter acquisire, oltre alle competenze, anche le idee di principio dei candidati “su temi di straordinario rilievo” che diventeranno l’agenda dei prossimi anni. Fermo restando che il modello ideale nelle procedure, da realizzarsi con una serie di riforme, potrebbe essere quello adottato per l’elezione dei commissari europei. Una procedura che prevede tre fasi: nella prima il Consiglio designa, a maggioranza qualificata, la persona che intende nominare come Presidente (la designazione è soggetta all’approvazione del Parlamento europeo). Nella seconda il Consiglio, a maggioranza qualificata e di comune accordo con il Presidente designato, adotta l’elenco delle persone che intende nominare come membri della Commissione (nel redigere l’elenco si tiene conto delle proposte presentate da ciascuno Stato membro). Per finire, nella terza fase il Parlamento, dopo aver proceduto all’audizione dei singoli commissari designati, esprime un voto di approvazione sull’intera Commissione, a cui fa seguito la nomina vera e propria della Commissione da parte del Consiglio a maggioranza qualificata.
Si profila un modello europeo anche per Marco Perduca (Radicali) secondo il quale la presentazione preventiva dei curriculum dei candidati voluti dai gruppi politici è solo una “foglia di fico, una riproposta della prassi partitocratica” che porterà con sé un’inevitabile “notte dei lunghi coltelli” tra gruppi in cerca di accordo alla vigilia del voto. “La finestra temporale” offerta dallo slittamento del voto alla Camera va sfruttata “per aprire un dibattito di metodo e di merito”. Il punto d’arrivo, per Perduca, è “un meccanismo realmente aperto a candidature o anche autocandidature non necessariamente proposte dai partiti” così da scongiurare il rischio di lasciar fuori candidati “eccellenti”, ma non sostenuti da gruppi politici.
Intanto Articolo 21 si candida per raccogliere le autocandidature: le presenterà in Parlamento facendosi garante affinché “non si perdano nei corridoi”. Lo ha annunciato il portavoce dell’associazione Giuseppe Giulietti in un incontro stampa a Palazzo Madama: “Con il sito di Articolo 21 raccogliamo candidature e curricula che poi noi stessi presenteremo a Gruppi”.