Agenda digitale, Perego: “La governance così non va”

Il responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda digitale del Polimi anticipa a Cor.Com le principali evidenze della ricerca 2014: “C’è bisogno di un forum multistakeholder, un luogo di ascolto e una proposta per le PA e le imprese”

Pubblicato il 03 Nov 2014

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«Fare Agenda digitale vuol dire ripensare integralmente l’organizzazione della PA, per ridurne i costi ma ancor più per trasformarla da freno all’economia a strumento di promozione dello sviluppo. Fare Agenda digitale significa però anche spingere le imprese e i cittadini ad adottare in modo convinto gli strumenti dell’innovazione digitale, oltre a favorire la nascita di nuove imprese incentrate sulle opportunità delle nuove tecnologie. Ma all’Agenda italiana manca un ‘pentolone’ dove mixare gli ingredienti per la riuscita di questa ricetta». Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio Agenda digitale del Politecnico di Milano, utilizza una metafora per illustrare la fotografia scattata dall’ultimo report dell’Osservatorio Agenda digitale di cui diamo nell’articolo in basso alcune anticipazioni.
Quali ingredienti mancano?
In Italia ci sono già gli ingredienti giusti per servire “il piatto dell’innovazione”. C’è la consapevolezza politica che la riforma digitale è urgente e necessaria; c’è un bagaglio importante di dati che “raccontano” quanto fatto finora, quali benefici sono stati prodotti e ci sono – aspetto questo fondamentale – attori pubblici e privati desiderosi di cambiare il Paese per renderlo più moderno ed efficiente. Manca però il “pentolone” dove inserire questi ingredienti, un luogo di confronto e proposta sull’Agenda digitale che indichi la direzione da prendere. L’assenza di un tale “luogo” porta a situazioni paradossali, ma tutt’altro che ipotetiche, delle quali abbiamo avuto evidenza in questi anni. Immaginate un funzionario regionale che volesse definire una politica di Agenda Digitale Regionale coerente con le scelte di impostazione dell’Agenda Digitale Nazionale. Come fa? Immaginate un’intera industria – quella dell’innovazione digitale – che voglia capire dove orientare i suoi investimenti e fare un piano industriale. Con chi parla? Immaginate tutti questi soggetti – e tanti altri qui non citati – che vogliano quanto meno confrontarsi tra loro.Dove possono andare?
Però c’è l’Agenzia per l’Italia digitale con il comitato di indirizzo, c’è un tavolo su innovazione e Agenda digitale aperto alla Presidenza del Consiglio. Non bastano?
Non bastano perché manca la partecipazione e il coinvolgimento degli attori in campo e perché – riguardo ai componenti del comitati di indirizzo – penso che non rappresentino adeguatamente né il mondo dell’impresa né quello della Pubblica amministrazione. Sono esperti certo, ma gli esperti non servono se non cambia il metodi di lavoro.
Come dovrebbe essere allora questo “pentolone”?
Il modello è quello multistakeholder Forum on e-invoicing, un’iniziativa lanciata dalla Commissione europea nel 2010 per facilitare l’adozione della fatturazione elettronica e poi declinata a livello di stati membri. In Italia il forum è nato a fine 2011 per volontà del ministero dell’Economia, di concerto con l’Agenzia delle Entrate. Il progetto, coordinato dal Mef, ha visto coinvolti gli attori chiave del nuovo processi di pagamento: gli osservatori universitari, Confindustria, Confindustria Digitale, le banche e i ministeri. Il risultato finale è stato l’elaborazione di una proposta di legge che ha poi fatto da base alla revisione normativa e un nuovo metodo di monitoraggio inviato alla Commissione e a Eurostat.
Ma l’Agenda digitale è una strategia complessa, di visione del Paese e non un unico progetto come la fatturazione elettronica. Crede che il modello del multistakeholder forum si possa replicare senza problemi?
Ovviamente il tema dell’Agenda digitale è articolato e ovviamente il modello deve essere calibrato. Si possono pensare a tavoli di lavoro su progetti che poi si dettagliano in sottogruppi più operativi. Ma l’ambizione deve rimanere quella di strutturare una governance informata e partecipata, della creazione di un luogo di riferimenti per i funzionari della Pubblica amministrazione, soprattutto locale, che vogliano parlare dei loro progetti e trovare modelli di riuso adeguati alle loro esigenze. E così per le aziende.
Questo dal punto di vista metodologico. Dal punto di vista progettuale, invece, nella ricerca avete individuato delle priorità che vadano oltre quelle identificate da Caio?
Il punto è proprio questo. La decisione dell’ex commissario per l’Agenda digitale di puntare in maniera prioritaria su anagrafe unica, fatturazione elettronica identità digitale rispondeva all’esigenza di dare la stura al piano. Oggi però l’esigenza non è tanto quella di trovare dei progetti “testa d’ariete” quanto quella di rivoluzione il metodo di lavoro finora applicato. Serve, per prima cosa, definire un sistema di misurazione dei risultati dell’Agenda digitale per poi definire gli obiettivi e con essi la strategia globale. Si tratta di un metodo che facilita anche le scelte della politica, che avrebbe misuratori qualitativi e quantitativi in base ai quali elaborare le scelte più adeguate per il Paese.

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