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AI generativa, per l’Italia 50 miliardi di extra Pil



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È quanto emerge da un report Accenture secondo cui la posta in gioco sale a 80 miliardi se si considera l’impatto derivante dalla spinta all’innovazione tecnologica del made in Italy. Ma per l’Istat le aziende italiane sono al palo a causa di costi elevati e mancanza di competenze. Nonostante l’80% percepisca le potenzialità dell’intelligenza artificiale solo il 5% è passato all’azione contro l’11% in Germania e l’8% della media Ue

Pubblicato il 15 mag 2024



intelligenza artificiale

L’innovazione tecnologica, con l’AI generativa in primo piano, può contribuire ad un significativo miglioramento della produttività delle imprese del Made in Italy lungo tutta la catena del valore, arrivando a generare un valore aggiunto incrementale potenziale stimato in circa 50 miliardi di euro entro il 2030. Altri 30 miliardi potrebbero arrivare dal potenziamento e dall’estensione del “brand Made in Italy” a nuovi settori. L’impatto sull’occupazione, nei settori manifatturieri interessati, si tradurrebbe nella creazione di circa 300 mila nuovi posti di lavoro.

Sono alcune tra le principali evidenze emerse dallo studio “Strategie per la valorizzazione del brand Italia e del Sistema Paese” di Accenture, presentato in occasione del XX Forum di Comitato Leonardo.

Innovazione tecnologica e politiche di branding

L’analisi parte dalla considerazione che i settori tipici del Made in Italy (tessile- abbigliamento, alimentari-bevande, legno-arredo, nautica, ceramica, oreficeria) sono da sempre fortemente votati all’export, con oltre il 50% della produzione complessiva, rispetto al 35% degli altri settori manifatturieri. Il percepito di eccellenza sintetizzato nel “brand Made in Italy” permette all’Italia di posizionarsi come leader, rispetto all’export globale complessivo, incrociando la domanda delle nicchie alto-spendenti internazionali. Secondo la ricerca, i diversi settori del Made in Italy possono rafforzare la propria competitività mettendo a terra strategie industriali declinate in due linee di azione prioritarie: da una parte l’adozione a scala dell’innovazione tecnologica e dall’altra il rafforzamento delle politiche globali di branding con l’estensione del “brand Made in Italy” a settori economici eccellenti non tradizionalmente compresi nella definizione (come la meccatronica, la farmaceutica, la chimica etc) con opportune politiche di comunicazione e marketing sistemiche. Tali strategie comporterebbero un incremento della produttività e un ampliamento dell’export, grazie ad una rinnovata competitività verso l’estero.

Una “posta in gioco” da 80 miliardi di euro

Secondo il report, complessivamente, la posta in gioco è un potenziale aggiuntivo del PIL dei settori “estesi” del Made in Italy di circa 80 miliardi di euro entro il 2030. 50 miliardi sarebbero conseguenza dell’incremento di valore aggiunto prodotto dalla messa a sistema nel Made in Italy dell’applicazione dell’AI Generativa, affiancata da opportune politiche di potenziamento delle competenze necessarie.

Di questi 50, 15 miliardi sarebbero legati ai settori tradizionali del Made in Italy e 35 ad altri settori che potrebbero iniziare a beneficiare del brand. Gli ulteriori circa 30 miliardi – di cui 20 imputabili ai “nuovi” settori – sarebbero generati dall’estensione e potenziamento del “brand Made in Italy” con opportune politiche sistemiche, che potranno portare ad una maggiore penetrazione sia in Paesi in cui le imprese italiane sono già presenti, sia in aree geografiche emergenti.

Investimenti in AI per colmare i gap

Gli investimenti in tecnologia – conclude lo studio – ed in particolare in AI, saranno essenziali per colmare i gap accumulati in alcuni settori e potenziare il “genio italico” in ogni fase della catena del valore: dal design delle collezioni e dei prodotti (dove la Gen-AI può facilitare in modo esponenziale il lavoro creativo, grazie alla capacità di aggregare e combinare dati per la creazione e l’adattamento continuo di contenuti) alla produzione pianificata e ottimizzata grazie ai “gemelli digitali”, in grado di creare una rappresentazione live dello stato dei macchinari per monitorare in tempo reale la linea produttiva e il suo funzionamento, fino alla capacità di aumentare l’efficacia della forza vendita grazie agli assistenti virtuali basati sulla Gen-AI.

L’applicazione di soluzioni tecnologiche come il “digital twin” sulle linee produttive potrebbe portare grandi benefici alle pmi italiane: mediamente, l’Oee – Overall Equipment Efficency (indice di qualità e velocità del macchinario) aumenta del 15-20%, mentre i costi industriali diminuiscono di circa il 30% grazie alla maggior efficienza.

Italia “al palo” sull’AI: il responso dell’Istat

Intanto, però, il più recente rapporto annuale dell’Istat rivela che l’Italia sembra navigare in acque turbolente nel suo viaggio verso la completa digitalizzazione: solo il 5% delle imprese italiane ha integrato tecnologie di Intelligenza Artificiale nei propri processi, una cifra che si posiziona al di sotto della media europea dell’8% e ben lontana dall’11% della Germania. Questa realtà emerge nonostante l’ampio riconoscimento, da parte di oltre l’80% delle imprese nazionali, delle potenzialità che l’IA può offrire. Tra le principali barriere alla sua adozione, spiccano la mancanza di competenze specifiche e gli alti costi di implementazione.

Ultimi per adozione di software gestionali

Il report mette in luce una situazione di ritardo generale dell’Italia rispetto alle maggiori economie dell’Unione Europea, tanto nell’adozione delle tecnologie più avanzate quanto nello sviluppo delle competenze Ict tra i lavoratori. La situazione attuale vede poco più della metà degli addetti dotati di dispositivi connessi durante il lavoro, una percentuale che si attesta 10 punti percentuali al di sotto di quella tedesca. Inoltre, l’Italia occupa l’ultima posizione tra i principali paesi Ue per quanto riguarda l’adozione di software gestionali, dimostrando una certa riluttanza nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle informazioni in modo digitalmente avanzato.

Non si tratta solo di un problema legato al tessuto imprenditoriale, ma anche di una carenza di professionisti Ict, che in Italia rappresentano solo il 3,9% del totale degli occupati, un livello inferiore rispetto agli altri grandi paesi europei. Questo gap di competenze si pone come un ulteriore ostacolo nella strada verso la digitalizzazione.

Progressi nella Pubblica amministrazione

Parallelamente, il rapporto Istat evidenzia anche alcuni progressi, soprattutto nell’ambito della Pubblica Amministrazione, dove il miglioramento dell’infrastruttura informatica ha portato a un ampliamento significativo della disponibilità e della varietà dei servizi online. A testimonianza di ciò, ci sono i 38 milioni di italiani che utilizzano l’identità digitale per accedere ai servizi pubblici, un numero che supera la media europea e riflette un crescente grado di digitalizzazione tra i cittadini.

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