SHARING ECONOMY

Airbnb al bando in patria: San Francisco vota contro la “home sharing”

La città deve decidere su una proposta che impone un limite agli affitti di breve termine: si tratterebbe del più severo “tetto legislativo” al business della società, e potrebbe influenzare altre amministrazioni

Pubblicato il 03 Nov 2015

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Airbnb è uno dei casi più rappresentativi delle nuove imprese della sharing economy: mentre procede a rapidi passi in un’espansione veramente globale (è presente in tutto il mondo eccetto tre Paesi: Siria, Iran, Nord Corea) deve vedersela con le normative locali e gli attacchi della tradizionale industria alberghiera. Ciononostante in diverse città, come Parigi e Amsterdam, l’ingresso di Airbnb è stato accolto a braccia aperte; Parigi è addirittura il primo mercato per dimensioni per la società americana, tanto che ospiterà fra due settimane la Airbnb Open conference. Il successo europeo rende ancor più bruciante per la startup di San Francisco l’ostracismo della città in cui è nata, patria di tante imprese innovative.

I cittadini di San Francisco si preparano ad andare al voto per esprimersi su una serie di proposte normative e l’ostilità nei confronti di Airbnb è tale che fra le 11 domande su cui si dovranno esprimere i residenti della capitale della Silicon Valley sette toccano temi che hanno un peso per l’industria tecnologica e immobiliare. Alcuni osservatori parlano di un vero referendum sull’industria tecnologica della regione, oltre che di un segnale della protesta montante contro l’aumento spropositato dei prezzi delle case. Le associazioni dei consumatori di San Francisco sostengono che Airbnb ha acuito il caro-prezzi sul mercato immobiliare che rende oggi San Francisco costosa come Manhattan: una casa in media costa 1,1 milioni di dollari, il 60% in più di cinque anni fa.

Fra le proposte al voto c’è in particolare la Prop F, sostenuta da diverse associazioni di cittadini riunite nel gruppo sharebettersf, che chiede di porre delle restrizioni agli affitti di breve termine, fissando un tetto massimo di 75 notti all’anno per ogni cittadino che mette a disposizione la propria casa, o stanze della propria casa, per servizi come Airbnb. Ci sarebbe addirittura l’obbligo per i vicini di denunciare alle autorità ogni violazione.

Si tratterebbe di un pericoloso “tetto legislativo”, commenta Business Insider, alla crescita di Airbnb, il più grave che l’azienda abbia finora dovuto fronteggiare, approvato con un voto popolare e che quindi solo un altro voto popolare potrebbe ribaltare. Il gruppo sharebettersf sostiene che la sua soluzione ripara al fallimento dell’amministrazione cittadina, che non sarebbe riuscita a regolare efficacemente il settore. La città di San Francisco ha creato una legge nel 2014 per regolare gli affitti di breve termine, ponendo il limite di 90 giorni complessivi per gli affitti di abitazioni dove non è presente il proprietario, ma non prevedendo alcun limite se i proprietari sono presenti durante il soggiorno, quindi, per esempio, se affittano solo parte della loro casa. Secondo la San Francisco Tenants Union, che appoggia la Prop F, un servizio come Airbnb scoraggia le persone che vogliono andare a vivere a San Francisco in forma stabile, quindi con affitti di lungo termine.

“C’è già una legge in città che penso rappresenti un approccio sensato. Prop F è invece un estremismo e si riduce alla fine a un attacco guidato dall’industria alberghiera e da tutti coloro che resistono ai cambiamenti, che renderà più difficile soggiornare a San Francisco”, ha commentato Chris Lehane, head of global policy di Airbnb. Lehane parla di “attacco alla classe media”, ma si tratta innanzitutto di un colpo al business della startup.

Airbnb nota infatti che, se la sua attività si ridurrà a San Francisco, la città rischia di perdere un gettito fiscale del valore di 5,8 milioni di dollari l’anno. Al tempo stesso, Prop F taglierebbe il 48% del valore di Airbnb e le costerebbe circa 6 milioni di dollari di revenue annue, ha calcolato Business Insider.

San Francisco non è il mercato più importante per Airbnb, che ormai ricava il 50% delle revenue dall’Europa e da città con leggi favorevoli come Parigi. Ma San Francisco è la “home town” e Airbnb ha già speso più di 8 milioni di dollari nelle sue campagne contro Prop F, mentre i suoi oppositori hanno speso solo 1 milione.

“Credo che queste aziende”, ha commentato Edward Walker, professore della Ucla, riferendosi alle startup della sharing economy come Airbnb ma anche Uber, “si rendano conto che la loro esistenza è una battaglia non solo di mercato ma politica”.

Se Prop F fosse approvata nella città dove è nata Airbnb il rischio è che altre amministrazioni possano seguire a ruota imponendo vincoli simili. Lehane non appare preoccupato dal voto californiano, convinto che anche se Prop F sarà approvata “ci saranno sempre più persone in futuro che faranno home-sharing”. Tuttavia brucia, per lui e i fondatori di Airbnb, Joe Gebbia, Nathan Blecharczyk e il Ceo Brian Chesky, guardare il moltiplicarsi di post su Facebook e Twitter di residenti di San Francisco che attaccano la startup e le scritte a dir poco denigratorie comparse sui muri degli uffici degli attivisti di Airbnb che hanno fatto lobby contro Prop F.

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