LA SENTENZA

Airbnb, la Corte Ue boccia il ricorso: “Deve pagare la tassa sugli affitti brevi”

La legge del 2017 non osta all’obbligo di raccogliere dati sull’attività né al pagamento della cedolare secca, secondo i giudici di Lussemburgo. Che, però, hanno dato ragione alla piattaforma sul rappresentante fiscale: nessun obbligo di nominarlo. Ora la palla passa al Consiglio di Stato

Pubblicato il 22 Dic 2022

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Airbnb deve pagare le tasse sugli affitti brevi e comunicare al fisco i dati sulla sua attività: lo ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione europea che ha emesso la sua sentenza in merito al ricorso presentato dalla piattaforma americana sull’applicazione del regime fiscale italiano per le locazioni brevi.

La Cgue ha detto che la legge può chiedere di raccogliere informazioni sulle locazioni effettuate e applicare la ritenuta d’imposta alla fonte prevista dal regime fiscale nazionale. Per i giudici di Lussemburgo la legge italiana del 2017, con cui vengono tassati gli alloggi brevi, “non osta né all’obbligo di raccogliere informazioni né alla ritenuta d’imposta previsti da un regime fiscale nazionale”.

Tuttavia, il tribunale ha dato ragione ad Airbnb sulla parte relativa all’obbligo di designare un rappresentante fiscale, giudicato “una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi”.

La sentenza della Cgue sul ricorso di Airbnb

L’obbligo di ritenuta dell’imposta alla fonte s’impone, secondo i giudici a Lussemburgo, tanto ai prestatori di servizi di intermediazione immobiliare stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Italia, quanto alle imprese che hanno ivi uno stabilimento. La Corte esclude, dunque, che sia possibile ritenere che quest’obbligo vieti, ostacoli o renda meno attraente l’esercizio della libera prestazione dei servizi.

Rispetto alla parte della sentenza in cui il tribunale a Lussemburgo ha dato invece ragione ad Airbnb, quella cioè sull’obbligo di designare un rappresentante fiscale, il fatto che l’amministrazione fiscale disponga già delle informazioni ad essa trasmesse relative ai contribuenti, segnala la Corte, è tale da semplificare il suo controllo e dà ancor più rilevanza al carattere sproporzionato dell’obbligo di designazione di un rappresentante fiscale.

La legge italiana sugli affitti brevi

La legge italiana ha stabilito che, a partire dal primo giugno 2017, i redditi derivanti da contratti di locazione non commerciali non superiori a 30 giorni sono soggetti a una ritenuta del 21%, dovuta all’erario, qualora i proprietari interessati abbiano optato per tale aliquota preferenziale, e i dati relativi ai contratti di locazione devono essere trasmessi all’amministrazione fiscale. Quando incassano i canoni o svolgono un ruolo nella loro riscossione, i soggetti che svolgono attività di intermediazione immobiliare devono effettuare, in qualità di sostituti d’imposta, la ritenuta di cui trattasi sull’ammontare dei canoni e provvedere al relativo versamento all’erario.

I soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia hanno l’obbligo di nominare, in qualità di responsabili d’imposta, un rappresentante fiscale.

Il commento di Federalberghi

La sentenza odierna segna un punto importante“, ha commentato Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, “ma resta del percorso da compiere. I prossimi passi toccano al Consiglio di Stato, che dovrà pronunciarsi recependo la sentenza europea, per consentire poi all’Agenzia delle Entrate di recuperare le imposte non pagate durante sei anni di sfacciata inadempienza, applicando le relative sanzioni.

“In parallelo – ha detto Bocca – chiediamo al Governo e al Parlamento di mettere ordine nella giungla degli appartamenti ad uso turistico, che si nascondono dietro la foglia di fico della locazione, ma in realtà operano a tutti gli effetti come strutture ricettive e quindi devono essere soggetti alle medesime regole di base previste per alberghi, affittacamere e bed and breakfast”.

Bocca ha ricordato che Federalberghi “è intervenuta nel giudizio al fianco dell’Agenzia delle Entrate per promuovere la trasparenza del mercato, nell’interesse di tutti gli operatori, perché l’evasione fiscale e la concorrenza sleale danneggiano tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza”.

Airbnb

Airbnb ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L’azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d’imposta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva Ue in materia”, è il commento di Airbnb.

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