La Commissione europea ha dichiarato a torto che il Lussemburgo abbia concesso ad Amazon aiuti di stato illegali, sotto forma di vantaggi fiscali. Lo sostiene l’avvocatessa generale del Tribunale Ue Juliane Kokott. L’esecutivo europeo, afferma Kokott, per verificare l’esistenza di un vantaggio fiscale selettivo, ha utilizzato il sistema di riferimento errato, ossia le linee guida dell’Ocse sui prezzi di trasferimento invece del diritto lussemburghese. In base alle contestazioni della Commissione su cui è chiamato a decidere il Tribunale Ue, Amazon dovrebbe 250 milioni di tasse pregresse al Lussemburgo.
Lo sviluppo del caso
La procedura di infrazione era partita nel 2017, con una decisione della Commissione europea, secondo cui il tax ruling risalente al 2003 tra il Lussemburgo e la stella nascente dell’e-commerce era viziato da profili di illegalità: a giudizio della Commissione, il Lussemburgo aveva ridotto senza una valida giustificazione le imposte pagate da Amazon, consentendo al gruppo di trasferire la maggior parte degli utili realizzati dalla società locale, soggetta alle regole nazionali (Amazon Eu), a un’altra che non lo era (Amazon Europe Holding Technologies). E facendo quindi sì che la compagnia di Jeff Bezos pagasse “quattro volte meno tasse” di altre aziende con sede in Lussemburgo. Per questo, la Commissione aveva imposto ad Amazon di restituire allo stato lussemburghese 250 milioni di euro.
Sia Amazon sia il Granducato avevano fatto ricorso al Tribunale Ue, che nel suo verdetto del 2021 ha dato loro ragione, spiegando che “nessuna delle constatazioni esposte dalla Commissione nella decisione impugnata è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un vantaggio” ai sensi del Trattato dell’Ue, “quindi occorre annullarla nella sua totalità”.
Oggi la tesi di Kokott rafforza la sentenza di due anni fa e prova a smontare il caso. Nel censurare il ruling, infatti, la Commissione aveva contestato la differenza rilevante tra i prezzi fissati nell’accordo e quelli ricavati utilizzando come detto le linee guida dell’Ocse. Ma secondo l’avvocatessa, il vantaggio selettivo deve essere dimostrato solo applicando il diritto tributario nazionale, e determinando quindi se le eccezioni a quelle regole abbiano determinato un vantaggio competitivo per la società in base a quello schema.
Il parallelo con l’affaire Apple
La vicenda è per certi versi paragonabile alla diatriba tra Apple e l’Antitrust europeo, secondo cui Cupertino sarebbe al centro di una maxi evasione da 13 miliardi nei confronti dell’Irlanda. Il caso fu archiviato nel 2010 con una sentenza del Tribunale Ue secondo cui gli accordi fra il Paese e l’azienda non costituivano violazione alla normativa sugli aiuti di Stato e pertanto la cifra non era dovuta, ma l’Antitrust ha deciso di ricorrere in appello. Secondo l’avvocato della Commissione Paul-John Loewenthal, infatti, la sentenza era “giuridicamente errata” e pertanto va annullata.
Apple aveva confutato le argomentazioni della Commissione, affermando di aver pagato la giusta quota di tasse. “I profitti di cui stiamo parlando – i profitti che secondo la Commissione dovrebbero essere attribuiti alle filiali in Irlanda – erano in realtà soggetti al regime fiscale statunitense”, aveva dichiarato l’avvocato di Cupertino Daniel Beard alla Corte. “Apple ha accumulato riserve per il pagamento delle imposte statunitensi e sta pagando circa 20 miliardi di euro di tasse negli Stati Uniti su quegli stessi profitti che, secondo la Commissione, avrebbero dovuto essere tassati dall’Irlanda”.
Ma le istituzioni europee non mollano l’osso. “L’esito della vicenda determinerà se gli Stati membri potranno continuare a concedere alle multinazionali sostanziali agevolazioni fiscali in cambio di posti di lavoro e investimenti”, ha commentato Loewenthal.