Linkedin non è solo il network professionale più diffuso al mondo, ma sempre di più anche uno strumento per gestire le risorse umane. Ne parliamo con Marcello Albergoni, Country Manager Italia e Spagna.
Come sta andando Linkedin in Italia?
Molto bene, il network è cresciuto tantissimo. Quando ho aperto gli uffici nel 2012 avevamo due milioni di iscritti. Oggi siamo a oltre sette milioni. Anche le aziende ci hanno creduto. Stanno cambiando modo di fare talent acquisition.
Cioè?
Usano Linkedin per fare employer branding e per aumentare la propria popolarità in Rete presso gruppi o professionalità specifiche. Abbinano poi attività di recruiting specializzato, grazie a un motore di ricerca che analizza settori, aree geografiche e competenze. E infine si fanno trovare o segnalano opportunità grazie ad azioni specifiche di tipo “pubblicitario”, attraverso banner.
Linkedin ha un indice di calcolo del valore del brand. Come funziona?
Si chiama Talent Brand Index e mette in relazione il numero totale delle persone che conoscono un’azienda con quelle che hanno interagito con lei, magari rispondendo a un annuncio. Misurando i livelli di popolarità, l’indice consente di fare confronti, trovando spesso anche le regioni che portano i dipendenti a migrare verso altre aziende.
Che cosa fare in questo caso?
Per migliorare il valore del brand abbiamo strumenti e meccanismi simili a quelli per il marketing di prodotto: i manager delle risorse umane devono diventare in qualche modo dei marketeer.
Quali sono i settori più attivi?
In Italia e in Europa sono quelli del Finance, Fashion & Luxury, Ict e Manufacturing.
Quali vantaggi hanno le aziende rispetto ai costi di selezione?
Il primo indiscusso vantaggio è la rapidità. La connessione ai professionisti che ti interessano è immediata e il tempo è un costo, lo sa bene chi non riesce a trovare risorse adeguate alle proprie necessità. Inoltre, la nostra base dati è di larga scala e raggiunge gli utenti via mobile e via social, una possibilità che altri non hanno. Il metodo di selezione che offriamo non esclude comunque l’integrazione con modalità più specifiche, per esempio degli head hunter.
Negli ultimi anni avete rinforzato gli strumenti social. Perché?
Perché le relazioni contano. Linkedin non è una bacheca di curriculum, ma crea contatti. Oggi la maggioranza dei nostri utenti non sta cercando lavoro, ma sono candidati passivi. Ebbene, vogliamo motivare una loro partecipazione attiva, per esempio nel trovare informazioni o seguire gruppi di discussione. Linkedin ha così investito su due strumenti: Pulse, per il broadcasting di news, e una serie di tool di self-publishing, finalizzati ad accrescere il personal branding. Permettono di scrivere post e presentarsi come esperti in determinati ambiti, un esercizio utile soprattutto a chi sta cercando una nuova occupazione e desidera mostrare le proprie conoscenze e i propri interessi.
Qual è la linea di sviluppo di Linkedin?
Esiste un progetto a livello globale che riguarda i prossimi 10 anni, denominato “Linkedin Economic Graph Challange”. Vogliamo passare dagli attuali 330 milioni di iscritti a 3,3 miliardi, facendo in modo che la piattaforma diventi raggiungibile da lavoratori, imprese e scuole di tutto il mondo e consenta relazioni per lo scambio di competenze e opportunità a ogni livello. L’idea di fondo è consentire opportunità economiche per tutti i professionisti, cambiando radicalmente il modo con cui le persone trovano lavoro, le aziende selezionano le persone e gli studenti s’informano sul mondo del lavoro.
Come aumenterete il numero di utenti?
Renderemo più attrattiva la piattaforma ampliando lo spettro degli annunci di lavoro, consentendo cioè il posting di nuove opportunità anche in maniera gratuita e senza vincolare la pubblicazione a determinati target, come avviene oggi per gli annunci specializzati. Eliminando il jobs lock, ovvero il vincolo per indirizzare gli annunci a un determinato target di utenti, prevediamo possa esplodere un servizio di job posting più generico e per una comunità più ampia.
E l’annuncio di Facebook di voler offrire servizi di career development?
Credo che le persone amino distinguere la propria identità digitale personale da quella professionale e continueranno a farlo.