IL CASO

Alibaba tira i remi in barca: dimezzati gli investimenti in startup

Da novembre 2020 a fine febbraio 2021 il colosso di Jack Ma ha messo un freno alle acquisizioni, spendendo “solo” 2,7 miliardi di dollari contro i 6 miliardi di un anno fa. Pesa la stretta regolatoria di Pechino. Ne trae vantaggio la rivale Tencent: quest’anno ha già concluso 70 deal

Pubblicato il 02 Mar 2021

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Alibaba ha più che dimezzato in quattro mesi i suoi investimenti in startup: il cambio di marcia ha coinciso con il blocco della quotazione del suo ramo fintech, Ant Group, imposto a novembre dal governo della Cina. I regolatori di Pechino, che hanno avviato un’indagine sul colosso fondato da Jack Ma per presunto monopolio di mercato, stanno passando al vaglio l’operazione di Borsa perché Ant è sia una piattaforma tecnologica sia un fornitore di servizi finanziari e, come tale, potrebbe ricadere nelle stesse regole che vigono per le banche.

I dati della società cinese ITjuzi riportati da Nikkei Asia indicano che Alibaba ha investito circa 2,7 miliardi di dollari in startup dall’inizio di novembre alla fine di febbraio, contro i circa 6 miliardi investiti nello stesso periodo di un anno fa. I dati includono le acquisizioni sia di Alibaba che di Ant e investimenti in società quotate.

Alibaba nel mirino dei regolatori

Per gli analisti finanziari asiatici il crollo degli investimenti del gruppo Alibaba in startup è la diretta risposta al giro di vite del governo del presidente Xi Jinping. Pechino ha accusato Alibaba di violazioni antitrust e monopolio del mercato finanziario. Alcuni osservatori affermano che la “superpotenza economica di Alibaba”, che ha dominato il settore online cinese anche assorbendo startup promettenti, sia giunta a un momento spartiacque della sua storia.

La Cina non vuole ridurre o rallentare la sua capacità di innovare e per questo ha cambiato atteggiamento: se negli anni scorsi il governo ha ampiamente sostenuto la crescita di Alibaba e degli altri campioni digitali cinesi, ora li vede come un ostacolo all’emergere delle startup e all’evoluzione tecnologica disruptive.

Dall’autunno dello scorso anno, l’amministrazione Xi ha messo le attività e le strategie di Alibaba (e di Jack Ma) sotto la lente di ingrandimento. Ha proposto linee guida che limitano i domini di mercato e la raccolta di dati personali da parte delle Internet companies e norme che controllano i prestiti “via smartphone” offerti da Ant. L’intero mercato finanziario online è oggetto di una riforma.

A dicembre Pechino ha multato Alibaba citando violazioni delle leggi sulla concorrenza e il pricing. Ha poi aperto un’inchiesta su Alibaba e Ant e interrogato i suoi dirigenti.

Jack Ma si mantiene “low profile”

Da allora Yunfeng Capital, il fondo di investimento in cui Jack Ma detiene una quota di circa il 40%, ha agito sotto traccia. Al momento, riporta Nikkei Asia, il fondo sta investendo in una startup della tecnologia della guida autonoma, ma non ha indicato quale né riferito ulteriori dettagli, nel tentativo di mantenere il più possibile “inosservate” le sue operazioni. Una vera inversione di marcia: in precedenza Yunfeng Capital ha sempre aggressivamente pubblicizzato la sua macchina da investimento.

Lo stesso Ma ha tenuto negli ultimi mesi un basso profilo, riapparendo in pubblico solo per rassicurare gli azionisti di Alibaba.

Ne approfitta la rivale Tencent

Non è solo il governo a mettere il freno al dominio di Alibaba. In Cina il mondo delle startup sta cambiando. Dopo la pandemia, i contanti sono tornati a fluire sul mercato e le imprese innovative ne stanno beneficiando. Secondo i dati del portale cinese di notizie tecnologiche 36Kr, nel 2020 le startup in Cina hanno raccolto il 40% di capitali in più rispetto al 2019. Le opportunità non mancano e alcune startup si tengono lontane da Alibaba, a tutto vantaggio della sua rivale Tencent Holdings, l’altro colosso tecnologico cinese, proprietario della popolarissima app WeChat (anche questa sotto la lente di Pechino, ma finora meno bersagliata di Alibaba).

Gli investimenti totali di Tencent sono stati pari a 12 miliardi di dollari lo scorso anno, superando, per la prima volta dal 2013, quelli effettuati da Alibaba (meno di 10 miliardi). E mentre Alibaba ha siglato meno di 10 accordi di investimento dall’inizio del 2021, Tencent già vola sopra quota 70.

Un nuovo fronte aperto tra Jack Ma e il governo di Pechino

Un nuovo fronte si è aperto tra Jack Ma e le autorità cinesi. Ant Group, braccio finanziario di Alibaba, non ha fornito alla Banca del popolo cinese (Bpoc) – la banca centrale della Repubblica popolare – dati sui consumatori che, in base a un precedente accordo, avrebbe dovuto trasmettere, provocando l’insoddisfazione della Bpoc. A scriverlo è oggi il Financial Times, citando fonti interne.
Tra il gruppo di Jack Ma e le autorità cinesi la situazione appare piuttosto tesa, dopo che a novembre le autorità regolatorie cinesi hanno bloccato la quotazione di Ant Group, un affare da 37 miliardi di dollari. La banca centrale cinese aveva chiesto i dati – spiega il Ft – per creare un database sull’affidabilità creditizia in un momento in cui il sistema bancario cinese è fortemente appesantito da incagli nel ramo del credito al consumo. Ant Group, in questo senso, sarebbe una miniera d’oro perché gestisce la principale piattaforma di pagamento, Alipay.
Inoltre, la banca centrale cinese ha puntato il dito contro la raccolta di dati che le grandi piattaforme di e-commerce effettuano “abusando del loto monopolio di mercato”. In un accordo Ant aveva concordato di fornire alla banca centrale cinese diversi dati relativi ai 500 milioni di clienti: anagrafica, importo della somma prestata mensilmente, stato della restituzione.
Tuttavia pochi di questi dati sono stati trasferiti, perché gli utenti non hanno rilasciato la loro autorizzazione a questa operazione, come richiesto dalle leggi sulla privacy. La banca centrale, dal canto suo, vorrebbe che le compagnie internet trovassero comunque il modo di passare i dati, magari anche rendendo tale autorizzazione una condizione vincolante per usufruire dei servizi. Le compagnie, dal canto loro, sono contrarie a imporre questo vincolo, per paura di intimorire i clienti. Oltre che sulla quantità dei dati trasmessi, la banca centrale ha da ridire anche sulla qualità. Ant trasferirebbe solo una volta al mese dati aggregati. Si tratta di informazioni che dicono poco sia per frequenza che per dettaglio sull’affidabilità creditizia dei clienti: una persona che prende soldi in prestito una volta al mese è più affidabile di una che lo fa 10 volte. La questione però mette in luce anche una disparità di mezzi tra un grande player internet globale e la banca centrale. Mentre il gruppo di Jack Ma è dotato di un gran numero di data scientist, la banca centrale ne ha solo una frazione. Non c’è quindi alcuna certezza che la banca centrale possa trattare questi dati con l’accuratezza che richiederebbero, secondo il Ft

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