Cent’anni fa Henry Ford ideò la catena di montaggio, da qui derivò la diffusione delle autovetture e il mondo cambiò: l’abbiamo plasmato per trasportare la fisicità dei nostri corpi e degli oggetti per mezzo della rete stradale. Fu opera dello Stato che la considerò: un bene comune, un monopolio naturale e neutra.
Cent’anni dopo ci troviamo davanti alla nuova costruzione della rete, questa volta digitale, per trasportare le informazioni. Un tema urgente, necessario, eppure teatro di una lotta carica di conseguenze.
Perché non è più possibile usare quel modello di sviluppo? Perché si è deciso che siano le imprese di telecomunicazioni a operare al posto dello Stato, le quali ritengono che l’investimento non sia più sostenibile e la definizione di esternalità di Wikipedia ne spiega le ragioni: “Quando un tratto di rete (stradale ma anche rete informatica) è saturo, ciascun utente che lo utilizza causa un rallentamento del servizio per tutti gli altri utenti. Impone agli altri un “costo sociale” o, per utilizzare la terminologia degli economisti, una “esternalità”. Questo costo, nella migliore delle ipotesi, è esprimibile in termini di tempo perso nell’attesa. In alcuni casi, inoltre, la congestione della rete rende non disponibile un determinato servizio.”
Per esempio, le applicazioni in tempo reale e le applicazioni interattive necessitano di tempi di comunicazione estremamente rapidi che non sono realizzabili in circostanze di congestione. Il problema dei costi sociali (qui, i costi di congestione) di una azione individuale (in questo caso, la domanda per un servizio di rete) è assai generale, e gli economisti lo hanno studiato da lungo tempo. La soluzione tariffaria, in grado in principio di arrecare vantaggio a tutti i soggetti coinvolti, consiste nel far pagare all’utente un prezzo per il servizio che tenga conto del costo imposto agli altri. Sempre nel gergo degli economisti, è necessario far pagare le risorse utilizzate in modo da “internalizzare le esternalità”.
Per Internet, che si paga per lo più in modo forfettario, questo non avviene. L’utente non paga in funzione delle condizioni di congestione della rete, e quindi non tiene conto del “costo sociale” implicito nell’utilizzo dei servizi di rete, e inoltre il costo della connessione a Internet è in larga misura svincolato dall’utilizzo che se ne fa. Rischiamo una discriminazione che può essere tecnica o economica (tariffaria). Se tutto ciò avviene in un qualsiasi punto della rete il collegamento non può sopportare regimi di gestioni differenti, e l’intero castello crolla. La rete non sarà mai più neutra, aperta e standard. Ma se la situazione non è più sostenibile finanziariamente allora quali sono i rischi?
Sono almeno tre, in quanto le telco potrebbero: abbassare la priorità dei pacchetti video, senza intervenire sui prezzi; garantire a costi inalterati il transito di tutti i pacchetti per una percentuale della banda disponibile (es. 50%) e lasciare la restante parte a costi più alti; discriminare sulla natura di tutti i pacchetti in transito facendoli pagare di più. L’ideale sarebbe stabilire con le telco delle specifiche di servizio garantito per fare in modo che reinvestano nella disponibilità di banda, al fine di ridurre questo limite. Si deve intervenire e contrastare il potere delle lobby, la stella polare è non limitare le future innovazioni che possono nascere sulla rete: se ci fosse stata la regola che i pacchetti video avrebbero dovuto viaggiare a costi più alti degli altri dati, Youtube non sarebbe mai nata.
Cent’anni fa abbiamo speso cifre stratosferiche per la posa in opera di chilometri di strade e chissà quanto ci è costata la manutenzione. E anche se i rispettivi costi sono incomparabilmente più bassi, siamo ancora troppo lenti nello stendere la fibra di comunicazione.
Avere una Rete (aperta e neutra) è indispensabile per montare la catena delle informazioni, ma soprattutto per domani. È adesso che dobbiamo costruirla e allargarla, perché su di essa viaggeranno servizi che non possiamo nemmeno immaginare quanto ci saranno utili in futuro.