Alphabet batte le aspettative degli analisti di Wall Street. La holding di Google ha chiuso il suo primo trimestre del 2018 con 9,4 miliardi di dollari di utili, in rialzo del 73% dai 5,4 miliardi dello stesso periodo del 2017. In termini di profitti per azione, siè passati a 13,33 dollari da 7,73 dollari. Il balzo è dovuto a un cambiamento delle regole contabili che ha portato il colosso tecnologico a iniziare a rendere conto del fair value di investimenti azionari come quello in Uber.
Di conseguenza, ha spiegato Alphabet, tutte le perdite o le plusvalenze, realizzate e non, da partecipazioni sono finite sotto la voce OI&E (“other income and expense”), che mostra un guadagno di oltre 3 miliardi di dollari.
Il gruppo – che ha visto le sue spese lievitare e che si prepara all’introduzione nella Ue della General Data Protection Regulation (Gdpr) – non ha fornito un elenco di quegli investimenti ma i risultati forniti hanno tranquillizzato gli investitori, preoccupati che l’impegno in settori al di là delle sue attività core potesse pesare sulle prospettive aziendali future. Anche eliminando la spinta data da questi cambiamenti contabili, pari a 3,40 dollari per azione, Alphabet ha battuto le stime degli analisti ferme a 9,28 dollari per titolo. I ricavi sono arrivati a 31,15 miliardi, in aumento del 26% dai 24,75 miliardi del primo trimestre del 2017 e oltre il consenso pari a 30,29 miliardi.
Nel dettaglio le vendite nel segmento Google, che include anche il sito di video YouTube, sono state pari a 31 miliardi, in salita dai 24,6 miliardi dei primi tre mesi del 2017. In particolare le vendite generate da pubblicità sono state di 26,64 miliardi, in rialzo dai 21,41 miliardi di un anno prima. Il numero di click fatti dagli internauti su pubblicità apparse su siti legati a Google (il motore di ricerca, Gmail, YouTube) e che hanno generato introiti sono saliti del 59% annuo e dell’8% su base trimestrale. Il cost-per-click è sceso del 19% annuo e del 7% trimestrale sui siti Google. Da questi dati – comunicati per l’ultima volta – è stato escluso per la prima volta il contributo dato dalle vendite generate da siti di parti terze che utilizzano le soluzioni di Alphabet come AdMob, AdSense o DoubleClick per piazzare inserzioni sui loro siti.
In questo caso si è passati a “impression” (quanto spesso una pubblicità è vista) e al “cost-per-impression” (quanto Google può fare pagare per quelle visioni). Nel primo caso c’è stato un +0% annuo e un +5% trimestrale; nel secondo, è stato registrato un +18% annuo e un -10% trimestrale. Il costo per acquisire traffico è balzato a 6,28 miliardi da 4,62 miliardi arrivando al 24% dei ricavi pubblicitari di Google. Questo preoccupa chi teme che l’azienda debba usare una buona fetta dei suoi ricavi per continuare a crescere pagando partner come Apple affinché dirottino i possessori di uno smartphone verso il motore di ricerca Google. Alphabet inoltre ha visto lievitare a 7,3 miliardi le spese per capitale, quasi tre volte quelle del primo trimestre 2017; la cifra include i 2,4 miliardi spesi per comprare il Chelsea Market a New York City.
Durante la call, il ceo di Google Sundar Pichai – il manager sta per incassare una delle somme più importanti mai conferite a un amministratore delegato: 353.939 azioni vincolate che valgono 382 milioni di dollari – ha cercato di tranquillizzare gli investitori che temono un impatto negativo sugli introiti pubblicitari derivante dalla Gdpr, che entrerà in vigore il 25 maggio nella Ue. “La Gdpr è un argomento relativamente nuovo ma per noi non è nuovo”, ha detto nella call a commento dei conti il Ceo. “Abbiamo iniziato a lavorare sulla compliance di Gdpr oltre 18 mesi fa”, ha aggiunto ponendo l’accento sul fatto che le attività pubblicitarie di Google sono legate soprattutto al motore di ricerca, “per cui dipendiamo da informazioni molto limitate, di fatto le parole chiave, al fine di mostrare una pubblicità rilevante o un prodotto”.
Il punto è che il 20% circa degli introiti pubblicitari dell’azienda deriva da siti terzi. Se molti europei decideranno di proteggersi dalle inserzioni, molti degli strumenti pubblicitari forniti da Alphabet potrebbero essere meno utili per gli inserzionisti. Pichai ha insistito: Google “si impegna a rispettare i requisiti” della legislazione, che non si aspetta avrà un impatto negativo notevole. Tornando ai ricavi, la voce “Other Bets” (letteralmente, altre scommesse, che comprende progetti come le vetture senza autista sotto il cappello Waymo ma da cui sono stati tolti per la prima volta i termostati Nest) ha visto il fatturato salire a 150 milioni di dollari dai 132 milioni dell’anno prima. C’è stata tuttavia una perdita operativa di 571 milioni di dollari, anche se più contenuta di quella pari a 703 milioni dello stesso periodo del 2017.
Alphabet continua a non indicare le vendite generate dalle attività cloud, un mercato in cui compete contro Amazon. Nella voce “Google other revenues” – nella quale ricadono, insieme a Nest – i ricavi sono saliti a 4,35 miliardi di dollari da 3,2 miliardi. Per Ruth Porat, direttore finanziario di Alphabet, “la nostra forte crescita dei ricavi riflette lo slancio globale”. Per la manager il gruppo ha “un insieme chiaro di opportunità entusiasmanti davanti a sé e la nostra crescita forte ci consente di investire in esse con sicurezza”. In attesa dei conti, arrivati ieri a mercati chiusi, le azioni di classe A di Alphabet avevano ceduto lo 0,33% a 1.073,81 dollari. Nel dopo mercato il titolo del gruppo aveva inizialmente guadagnato il 3% per poi cedere lo 0,45%. Da inizio anno il rialzo è stato dell’1,94%; negli ultimi 12 mesi, del 25%.