Un business basato sull’abbonamento è la vera garanzia di successo – e profitto – per le aziende tecnologiche: lo ha dimostrato per prima l’industria del software e gli altri settori hanno seguito a ruota. Chi ha saputo trasformare il modello di impresa dalla vendita tout court del prodotto all’offerta del prodotto come servizio è premiato da investitori e azionisti, che associano alle “subscriptions” un valido sistema per garantirsi una fonte stabile e consistente di fatturato che aiuta a mitigare le fluttuazioni connesse con i cicli di sostituzione dei prodotti, ha sottolineato in un commento il Wall Street Journal.
Amazon è forse il caso più evidente: dal programma Prime, che richiede un abbonamento annuale, il colosso del web ha guadagnato 9,7 miliardi di dollari di revenue l’anno scorso, con un incremento del 52%, mentre il cloud di Amazon Web Services – praticamente un servizio di noleggio di servizi IT alle imprese – ha generato 4,3 miliardi di dollari di utile operativo l’anno scorso. Da quando Amazon include nel suo report finanziario i risultati di AWS, ovvero dal 2015, il valore di mercato dell’azienda è cresciuto di oltre quattro volte.
Microsoft da molti anni trae la maggior parte degli utili da Office, cui ora ci si abbona anche online: a fine 2017, quasi 30 milioni di consumatori, +17% rispetto all’anno prima, pagava una subscription per la versione online della suite software. Nel business dei videogame, la gallina dalle uova d’oro è il servizio Xbox Live, che, stando a dati Microsoft, vanta 59 milioni di subscribers a fine 2017, con un incremento del 7% rispetto al 2016. Intanto, negli scorsi due anni, il valore di mercato di Microsoft è aumentato del 76%.
Gli esempi potrebbero proseguire. Adobe Systems oggi genera l’84% del suo fatturato dagli abbonamenti alla sua suite di software e servizi; le revenues dell’azienda sono in crescita da 13 trimestri consecutivi. Electronic Arts ha un servizio chiamato EA Origins da cui gli abbonati possono prelevare giochi e che, insieme agli altri servizi online che richiedono di pagare una subscription, ha generato un guadagno di 2 miliardi di dollari nel 2017 (+30% rispetto al 2016, mentre il valore di mercato dell’azienda è raddoppiato).
“Con l’abbonamento consumatori e imprese accettano di pagare una cifra fissa per avere in cambio la versione sempre aggiornata del prodotto senza dover spendere una cifra più elevata per acquistarlo“, ha scritto il WSJ. “La sfida per le tech companies è aggiornare costantemente il prodotto in modo da mantenere l’interesse alto e facendosi pagare una subscription che si mantiene ragionevole”.
La sfida è ancora più complessa per aziende nate con un forte focus sull’hardware, come Apple. La casa di Cupertino ha ovviamento cercato una trasformazione del business: nell’ultimo anno fiscale non ha solo venduto device per un valore di quasi 200 miliardi di dollari, ma ha alimentato la crescita degli utenti iscritti ai suoi servizi a pagamento e all’App Store, per un totale di quasi 250 milioni di subscribers. C’è anche l’iPhone Upgrade Program, con cui i clienti Apple pagano un abbonamento per avere un device nuovo ogni anno, ma si tratta di una sorta di accordo di leasing che non libera Apple del tutto dalla dipendenza dell’andamento ciclico delle vendite dei suoi smartphone, secondo il WSJ. Apple trarrebbe vantaggio dal ripensare il suo modello e vendere gli iPhone tramite una subscription. Dovrà tuttavia trovare prima la quadra col prezzo extra del suo hardware: un iPhone ora costa più di 1.000 dollari.