LO STUDIO

Analytics chiave per il business: l’azienda diventa data driven

Osservatorio della School of management del Polimi: nel 2016 il settore è cresciuto del 15% trainato dalla business intelligence nelle grandi aziende. Stentano le Pmi. Il mercato vale 900 milioni di euro e un Cio su tre prevede di investire nel settore. Carlo Vercellis: “Imprese obbligate a trasformarsi”

Pubblicato il 29 Nov 2016

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Un’impresa su tre in Italia ha già inserito in organico uno o più data scientist, la cui presenza nelle aziende più all’avanguardia è cresciuta del 57% nell’ultimo anno. Questo a dimostrazione che per cavalcare l’onda dell’innovazione c’è bisogno anche di nuove competenze e modelli organizzativi, approcci tecnologici differenti e prospettive progettuali di lungo periodo. Si tratta di uno dei segnali che evidenziano come il mercato degli analytics in Italia sia in fermento, con una crescita del 15% nel 2016, raggiungendo un valore complessivo di 905 milioni di euro. E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano, presentata questa mattina al convegno “Big Data: guidare il cambiamento, liberare valore”, secondo cui a dominare in termini di valore è la Business intelligence (722 milioni di euro, con una crescita del 9% in un anno), seguita dai Big Data (183 milioni di euro, con un +44% rispetto al 2015). La ricerca ha coinvolto attraverso una survey oltre 950 Cio e analizzato oltre 300 player dell’offerta tramite interviste dirette o fonti secondarie.

Gran parte di questo mercato, si legge in una nota dell’osservatorio, è oggi appannaggio delle grandi imprese, che si dividono l’87% della spesa complessiva, mentre le Pmi si fermano al 13%. Il trend è quello di una crescita di consapevolezza delle aziende italiane sulle opportunità dei Big Data: Il 39% dei Cio italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come priorità di investimento principale nel 2017 per l’innovazione digitale. Il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in “big data enterprise” è in ogni caso, secondo quanto risulta dalla ricerca, ancora lungo: soltanto l’8% ha raggiunto un buon livello di maturazione, mentre il 26% ha appena iniziato il percorso e il 66% si trova in una situazione intermedia.

“La crescita del mercato Analytics, che vale oggi 905 milioni di euro, conferma come la capacità di diventare una ‘data driven company’ non sia più un’opzione per le imprese, ma una necessità per rispondere ai repentini cambiamenti del mercato – commenta Carlo Vercellis (nella foto), responsabile scientifico dell’osservatorio Big data analytics e Business intelligence – Governare i Big Data è ormai una priorità non solo per ottimizzare i processi, ma anche per sviluppare nuovi prodotti e servizi, per cogliere le opportunità derivanti dalla monetizzazione dei dati. In questo senso, dotarsi di nuove competenze di data science e di strutture organizzative innovative rappresenta una sfida non più prorogabile”.

“Le grandi imprese si stanno muovendo nella direzione giusta, con una maggiore attenzione da parte del top management e una spesa crescente nei Big Data e negli Analytics nel loro complesso. E’ giunto il momento, oggi, di guidare il cambiamento, per liberare valore dai Big Data – commenta Alessandro Piva, responsabile della ricerca – Lo stesso non si può dire delle Pmi, che coprono oggi solo il 13% del mercato e solo nel 34% dei casi hanno dedicato a sistemi di Analytics una parte del budget ICT 2016: per le piccole realtà emerge ancora un ritardo nella creazione di competenze e modelli di governo delle iniziative di analytics e una limitata conoscenza delle opportunità”.

Le grandi imprese

Nelle organizzazioni con più di 249 addetti la diffusione di descrittive analytics è presente nell’89% delle organizzazioni. I predictive analytics sono l’arena di maggior interesse, con una diffusione ampia in alcuni ambiti applicativi (30%) o in fase di pilota (29%). Indietro i prescriptive e automated analytics, presenti nel 23% e nel 10% delle organizzazioni.

Soltanto l’8% delle grandi imprese, emerge dallo studio, si trova a buon punto nella trasformazione in “Big Data Enterprise”, mentre il 26% è agli inizi e il 66% in una posizione intermedia. Il settore più interessato è quello bancario (29%), seguito da manifatturiero (22%), telecomunicazioni e media (14%), Pubblica Amministrazione e sanità (8%), altri servizi (8%), GDO (7%), utility (6%) e assicurazioni (6%). Per i singoli settori la crescita è però trainata da assicurazioni (+25%) e manifatturiero, banche e utility, con tassi di espansione compresi fra il 15% e il 25%.

Le Pmi

Il ruolo delle piccole e medie imprese è ancora marginale nel mercato degli Analytics in Italia. Sulle oltre 800 imprese tra 10 e 249 addetti monitorate, emerge che le Pmi pesano soltanto per il 13% sul mercato degli Analytics, solo in un caso su tre hanno dedicato parte del Budget Ict 2016 a queste soluzioni (34%). La propensione di spesa aumenta al crescere delle dimensioni, con le medie imprese che investono di più delle piccole (39% contro 33%). Per quanto riguarda i modelli di analisi dei dati, il 26% delle PMI adotta modelli di descriptive analytics, il 16% modelli di predictive, mentre prescriptive e automated analytics sono ancora scarsamente conosciuti.

Settore per settore il quadro è simile a quello delle grandi imprese: una su due appartiene a banche e assicurazioni (55%) e Gdo (47%); seguono più distaccati PA e sanità (39%), manifatturiero (34%), telecomunicazioni e media (28%), utilities (24%) e, per ultimo, servizi (23%).

La valorizzazione dei dati

Il 32% delle imprese italiane dichiara di acquistare dati da integrare con quelli raccolti direttamente per la Data Monetization, la generazione di nuovi ricavi attraverso la vendita o lo scambio dei dati – emerge dalla ricerca dell’Osservatorio – Le imprese italiane acquistano soprattutto dati relativi all’andamento del mercato di riferimento del proprio business o al comportamento dei consumatori, nell’89% dei casi rifornendosi da veri e propri Data Provider, mentre nel 26% da altre organizzazioni del proprio settore e nel 29% da imprese appartenenti ad altre industry che hanno deciso di sfruttare i dati a loro disposizione per aprire una nuova linea di profitto secondaria rispetto alle loro attività principali, trasformandosi quindi a loro volta in Data Provider. Quanto alla possibilità di vendere dati, è ancora poco diffusa tra le organizzazioni italiane: solo il 7% del campione intervistato dichiara di farlo, mentre il 26% delle imprese che afferma di essere in fase valutativa. Il maggiore ostacolo alla Data Monetization è l’autorizzazione del trattamento per le finalità dichiarate, la cui definizione è un momento cruciale, in cui è necessario avere chiaro lo scopo dell’analisi e la dichiarato della finalità di vendita dei dati raccolti.

Il data scientist

Aumenta la consapevolezza del ruolo dei data scientist, che oggi nel 7% dei casi viene codificato formalmente (contro il 4% nel 2015). Nel 2016, tre grandi aziende italiane su dieci dichiarano di contare nel proprio organico figure di data scientist, una quota stabile rispetto allo scorso anno. Tra le aziende che hanno già inserito figure di questo tipo, poi, crescono del 57% i full time equivalent allocati, a conferma di una progressiva maturazione organizzativa. Secondo il sondaggio internazionale tra 280 professionisti della data science effettuato dall’Osservatorio, questo professionista è una figura relativamente giovane con età media attorno ai 35 anni. Nei Paesi in cui queste competenze sono diffuse da più tempo come gli Stati Uniti lo stipendio supera spesso i 100mila dollari, mentre in Europa le retribuzioni sono più basse.

Quanto alla collocazione organizzativa, il 27% dei data scientist lavora nel settore IT, il 26% in un’unità funzionale tradizionale (Marketing, Operations, Finance o R&D) e ben il 26% in una funzione indipendente, specifica per le attività dei Big Data, creata come evoluzione del modello organizzativo dell’impresa. Un ulteriore 15% è consulente esterno.

Le startup

Le startup del mercato Big Data e Business Intelligence finanziate da investitori istituzionali dal 2012 ad oggi, secondo lo studio dell’Osservatorio su 229 startup censite nel settore, hanno raccolto complessivamente 3,18 miliardi di dollari nel mondo. Le startup dei Big Data e Business Intelligence operano in tre settori principali. Nel 16% dei casi fanno parte delle Enabling Technologies, infrastrutture che processano, memorizzano e analizzano i dati. Nel 36% operano negli Analytics Systems, sistemi non riconducibili univocamente a un ambito di utilizzo, ma con un’applicazione differente a seconda delle necessità del cliente. Nel 48% si occupano di Applications, soluzioni verticali di analisi rivolte a particolari ambiti applicativi.

Big Data Innovation Award

In occasione del convegno l’Osservatorio ha assegnato i Big Data Innovation Award ad Assicurazioni Generali e RCS Media Group, le due aziende che si sono distinte per soluzioni di Big Data Analytics a supporto i propri processi. Il contest ha l’obiettivo di sostenere la cultura dell’innovazione in ambito Big Data attraverso un meccanismo virtuoso di condivisione delle esperienze.

Assicurazioni Generali – si legge nella nota dell’osservatorio – ha vinto il Big Data Innovation Award per il modello di governance innovativo nella gestione della Data Science, con la creazione dell’Analytic Solution Center che ha permesso di adottare un approccio multidisciplinare coinvolgendo diversi dipartimenti nel team di progetto. Rcs MediaGroup ha ottenuto il riconoscimento per un modello armonizzato di gestione dei Big Data, grazie a una piattaforma su misura che permette di sviluppare progetti specifici e adattarsi alle necessità delle diverse aree digitali del Gruppo.

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