La convergenza nel mercato delle telecomunicazioni e dei contenuti è un fenomeno globale di cui l’Europa e il Nord America sono i principali motori. Tuttavia, c’è un paese che per numero di abitanti, circa 215 milioni, e tasso di penetrazione dei servizi streaming, 24 milioni di abbonati equivalenti al 75% delle famiglie con accesso alla banda larga, potrebbe in breve tempo diventare un caso di successo mondiale. Parliamo del Brasile, paese che ha vissuto negli ultimi decenni dei cicli alternati di innovazione e liberalizzazione del mercato, con conseguente ingresso in forze di operatori stranieri. Non è un caso che i tre maggiori operatori del paese – Vivo, Tim Brasil e Claro – siano tutti sostenuti da capitali stranieri.
Come in altri paesi, l’alto tasso di crescita della domanda impone agli operatori investimenti sempre più ingenti per far fronte alla richiesta di dati e contenuti. Investimenti sull’infrastruttura quindi, sia fissa che mobile, ma anche nuove modalità di interazione con il cliente al fine di offrire sempre più servizi su misura e al passo con i tempi. Tutto questo è riassumibile con una parola: convergenza.
È la convergenza che consente la creazione di un nuovo ecosistema delle telecomunicazioni, ma questo viene messo a rischio da una regolazione non più al passo con i tempi. La legge SeAC infatti, introdotta nel 2011 per regolamentare il mercato, vieta in maniera netta la possibilità di integrazioni verticali fra operatori: i “produttori”, ovvero i broadcaster, non possono agire come “distributori” finali ai consumatori, ruolo riservato esclusivamente alle telco; le quali però, a loro volta, non sono autorizzate a produrre contenuti proprietari.
Inoltre, la legge limita anche la proprietà incrociata delle società nell’ambito di queste attività, il che significa che le società di telecomunicazioni non possono essere affiliate a società che producono contenuti e i produttori, a loro volta, non possono appartenere allo stesso gruppo societario delle società di telecomunicazioni.
Solo negli ultimi mesi sono caduti vittima di questa regolazione 2 colossi come Fox, posseduta da Disney e, soprattutto, WarnerMedia, la controllata di AT&T frutto della fusione con Time Warner, che vede nel Brasile l’unico paese al mondo ad averne bloccato l’arrivo. Questa conformazione del mercato, voluta dai rispettivi principali incumbent, il gruppo Globo e il gruppo Claro, legittimamente interessati a mantenere il ruolo di primazia senza incursioni da parte di nuovi attori. Con grave danno per i consumatori però, per i quali ormai connettività e contenuti sono pressoché sinonimi.
Il Brasile dovrebbe compiere significativi passi avanti per modernizzarsi: stabilire un regime normativo equo e competitivo che migliori l’efficienza nella fornitura di servizi e permetta alle aziende di capitalizzare questa esplosione nel mercato dei dati per aprire un nuovo ciclo di innovazione. Attualmente, il Senato e il Congresso brasiliano stanno analizzando diversi progetti di legge volti a modernizzare il quadro giuridico. La grande maggioranza delle riforme proposte cerca di revocare il divieto per i fornitori di telecomunicazioni di possedere o controllare produttori con sede in Brasile (articolo 5 della SeAC), eliminare le restrizioni per i fornitori di telecomunicazioni di acquisire i diritti di trasmissione di eventi di interesse nazionale (articolo 6 della SeAC) e di stabilire che i servizi basati su Internet (OTT) non rientrino nel campo di applicazione della legge SeAC.
Tuttavia, sono trascorsi diversi mesi da quando le proposte sono state presentate per la prima volta al Congresso e nessuno ha compiuto progressi significativi. Sta ai politici brasiliani modernizzare la legge e decidere se il Brasile vuole davvero essere un leader digitale nei prossimi anni.