LA RICERCA

Ansia da e-skills per gli italiani: il 30% si sente poco preparato

Indagine Randstad Workmonitor: quasi la metà dei lavoratori del nostro Paese ritiene che nei prossimi 5 anni le loro mansioni saranno automatizzate, ma per il 66% gli investimenti da parte delle aziende sono scarsi o insufficienti a colmare il gap

Pubblicato il 26 Gen 2016

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La digitalizzazione è in costante crescita in tutti i settori e rivoluziona processi e modalità del lavoro. Il 44% dei lavoratori italiani (4° posto nel mondo) prevede che il proprio lavoro sarà automatizzato nei prossimi 5-10 anni, ma quasi un terzo – il 30% – non si sente attrezzato con le giuste competenze per affrontare la digitalizzazione, contro una media globale del 22% e una europea del 18%. Secondo il 66% dei dipendenti, quindi, il proprio datore di lavoro dovrebbe investire di più nello sviluppo di competenze digitali. E il 77%, tornando indietro a 18 anni, sceglierebbe un campo di studio nel mondo digital/Internet.

Sono alcuni risultati del Randstad Workmonitor – l’indagine sul mondo del lavoro in 34 Paesi del mondo da Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane – che, nel quarto trimestre 2015, ha messo sotto la lente le competenze digitali. Ne emerge un riconoscimento diffuso da parte dei lavoratori dipendenti italiani della loro importanza di fronte alla trasformazioni in atto nel mondo del lavoro per effetto delle nuove tecnologie, ma anche una certa ansia sull’inadeguatezza dei profili professionali e sull’urgenza di uno sviluppo delle digital skills. Insieme al crescente interesse degli italiani verso i campi tecnico-scientifici, riconosciuti come sempre più richiesti dal mercato di oggi e di domani.

Secondo il 53% dei dipendenti intervistati dal Workmonitor, infatti, il datore di lavoro ha un crescente bisogno di profili Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica): un’emergenza avvertita in modo ancora più urgente della media globale (42%) ed europea (38%). E così, il 68% dei lavoratori italiani, se tornasse a 18 anni, si concentrerebbe su un campo di studi in questi ambiti (contro una media globale del 63%). E il 77% pensa che gli studenti oggi dovrebbero concentrarsi di più in una carriera in ambito Stem.

Tutto questo per limitare la crisi dei talenti che è già in atto e che rischia di aggravarsi in futuro: oltre metà dei lavoratori (51%) ritiene che il datore di lavoro oggi abbia difficoltà a trovare le persone giuste e competenti. E il 58% si aspetta che questo sia sempre più difficile in futuro. ”La principale sfida competitiva per le organizzazioni oggi è quella di individuare, coltivare, valorizzare e trattenere il talento, una sfida da affrontare con opportuni investimenti e una strategia di medio-lungo periodo”, commenta Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia.

“Tra le diverse competenze richieste ai talenti, oggi, in particolare – sottolinea – si segnalano quelle digitali, sempre più trasversali ai diversi settori economici, in grado di rivoluzionare le tradizionali modalità di lavoro e, in alcuni casi, di dar vita a nuovi profili professionali in ambiti impensabili fino a pochi anni fa”.

”L’impegno per lo sviluppo di competenze digitali – prosegue Ceresa – coinvolge davvero tutti. Innanzitutto, il sistema scolastico e universitario, chiamato a formare i lavoratori di domani. Poi, le imprese che da un lato devono assicurare l’aggiornamento continuo per i loro dipendenti, dall’altro pianificare organizzazione e ruoli adeguati per accompagnare la ‘rivoluzione digitale’ in corso. Infine, tutti i lavoratori che devono impegnarsi nella formazione costante per rimanere al passo con le nuove tecnologie, sapendo coglierne le opportunità per il miglioramento della propria carriera”.

“In questo senso, la presa di consapevolezza che emerge dal Workmonitor – conclude – è un segnale positivo per lo sviluppo professionale dei lavoratori italiani, come anche il riconoscimento dell’importanza dei profili tecnico-scientifici, di cui il nostro mercato del lavoro sconta una storica carenza”. Nella media globale, il 31% dei lavoratori si aspetta che il lavoro sarà automatizzato nei prossimi 5-10 anni. Più di tutti lo pensano i lavoratori localizzati in Asia, dove in media il 49% prevede una maggiore automatizzazione delle funzioni attuali, ma nella classifica globale, dopo India (69%), Malesia (65%) e Cina (58%), si colloca proprio l’Italia, con il 44%, a pari merito con Hong Kong.

I lavoratori del nostro Paese mostrano, infatti, una certa ansia sullo sviluppo delle competenze digitali, dimostrata dal fatto che in Italia il 30% dei dipendenti ritiene di non disporre di tutto l’equipaggiamento necessario alla gestione digitale del proprio lavoro, contro il 22% della media globale e il 18% della media dei Paesi sud-europei.

E poi dall’opinione diffusa che il proprio datore di lavoro dovrebbe investire maggiori risorse nello sviluppo delle competenze digitali: lo ritiene il 66% dei lavoratori italiani, in linea con la media globale (67%), ma decisamente al di sopra della media dei Paesi del Centro e Nord Europa, dove l’esigenza viene espressa rispettivamente dal 53 e 58%. E così il 77% dei dipendenti italiani, immaginandosi 18enne, sceglierebbero studi orientati in ambito digitale o online, un valore comunque inferiore all’84% della media globale.

A livello globale, si evidenzia un diffuso innamoramento per i campi tecnico-scientifici, in particolare nei Paesi emergenti dell’Asia, dell’America Latina e del Sud Europa. Il 63% degli intervistati a livello globale, se fosse un giovane studente, sceglierebbe ambiti di studio nel settore Stem: ai primi posti nel mondo ci sono India (87%), Cina (85%) e Malesia (82%). L’Italia, con il 68%, si colloca sopra la media globale e quella europea (56%).

Il 71% dei lavoratori nel mondo consiglierebbe ai giovani di seguire corsi di studio orientati fra le opzioni Stem. Anche in questo caso, l’Italia è superiore è superiore alla media con il 77% (11° posto nel mondo, media europea del 66%). A livello globale, il 42% dei dipendenti segnala la necessità di maggiori profili professionali Stem per il proprio datore di lavoro: l’Italia con il 53% di lavoratori che avvertono questa necessità è all’11° posto (media europea del 38%); anche in questo caso, in prima fila ci sono i Paesi asiatici (India, Malesia, Cina).

In tutto il mondo, si nota una difficoltà nella ricerca del talento. Il 57% dei lavoratori a livello globale afferma che il proprio datore
di lavoro ha difficoltà nel trovare le persone giuste e competenti, il 57% prevede che tale difficoltà sarà ancora più problematica in futuro. Sono soprattutto i Paesi asiatici a denunciare la criticità attuale e futura (con una media di area al 64%), mentre sono quelli scandinavi (in particolare Danimarca e Norvegia) e il Sud Europa a denunciare i minori problemi. L’Italia, con il 51% di lavoratori che denuncia la difficoltà attuale, appare inferiore alla media, mentre con il 58% che la prevede per il futuro è allineata alla media.

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