La Commissione europea ha avviato indagini formali antitrust per valutare se le regole di Apple per gli sviluppatori di app sulla distribuzione delle applicazioni tramite App Store violino le regole di concorrenza della Ue. Le indagini riguardano l’uso obbligatorio del sistema di acquisto in-app di Apple e le limitazioni alla capacità degli sviluppatori di informare gli utenti di iPhone e iPad su possibilità di acquisto alternative più economiche al di fuori delle app.
L’anno scorso la piattaforma musicale Spotify ha presentato alla Commissione europea una denuncia contro Apple accusandola di ostacolare intenzionalmente i servizi concorrenti per difendere la propria offerta e, in particolare, il prodotto Apple Music. Anche un’altra azienda ha denunciato il comportamento di Apple all’Ue: si tratta di un distributore di e-book e audiolibri, come si legge nella nota distribuita da Bruxelles.
L’indagine dell’Ue
Le indagini dell’Antitrust dell’Ue riguardano l’applicazione delle regole di Apple a tutte le app in concorrenza con le app e i servizi Apple nello Spazio economico europeo. Margrethe Vestager, vice presidente esecutivo della Commissione che si occupa anche dell’Antitrust, ha affermato che “Apple stabilisce le regole per la distribuzione delle app agli utenti di iPhone e iPad. Sembra che Apple abbia ottenuto un ruolo di ‘gatekeeper’ quando si tratta di distribuire app e contenuti agli utenti dei suoi popolari dispositivi”. Per questo la Vestager vuole assicurarsi che le policy adottate dalla Mela “non distorcano la concorrenza nei mercati in cui Apple compete con altri sviluppatori di app, ad esempio con il suo servizio di streaming musicale Apple Music o con Apple Books. Ho di conseguenza deciso di indagare più a fondo sulle regole dell’App Store e la loro ottemperanza alle regole dell’Ue sulla concorrenza”.
La Commissione esaminerà in particolare due restrizioni imposte da Apple nei suoi accordi con le aziende che vogliono distribuire app agli utenti di iPhone e iPad: l’uso obbligatorio del sistema di acquisto in-app proprietario di Apple IAP per la distribuzione di contenuti digitali a pagamento (la Mela addebita agli sviluppatori una commissione del 30% sugli abbonamenti tramite IAP); e le restrizioni alla capacità degli sviluppatori di informare gli utenti su possibilità di acquisto alternative al di fuori delle app. “Anche se Apple permette agli utenti di consumare contenuti come musica, e-book e audiolibri acquistati altrove (per es. sul sito web dello sviluppatore della app), le sue regole impediscono agli sviluppatori di informare gli utenti su questa possibilità alternativa di acquisto che è di solito meno cara”, si legge nella nota dell’esecutivo Ue.
La denuncia di Spotify
L’inchiesta della Commissione europea ha accolto le obiezioni presentate da Spotify, secondo cui Apple ha introdotto regole nell’App Store che intenzionalmente limitano la scelta e ostacolano l’innovazione a spese dell’esperienza utente, agendo di fatto sia da operatore che da arbitro per danneggiare deliberatamente gli altri sviluppatori di app. “Dopo aver provato, senza successo, di risolvere i problemi direttamente con Apple, chiediamo ora alla Commissione europea di intervenire per assicurare la concorrenza leale”, ha affermato l’azienda dello streaming musicale.
Spotify denuncia in pratica il ruolo di “gatekeeper” di Apple o di “controllore degli accessi” ai servizi Internet evidenziato dalla Vestager. Apple è sia proprietaria della piattaforma iOs e dell’App Store sia un concorrente di servizi come Spotify; il problema, dice la piattaforma musicale, è che Cupertino “continua a concedere a se stessa vantaggi sleali”.
Apple esige che servizi digitali come Spotify paghino una quota del 30% sugli acquisti effettuati tramite il sistema di pagamenti di Apple. Ciò vale anche per l’upgrade dal servizio gratuito a quello premium di Spotify. “Se pagassimo questa tassa, dovremmo artificialmente gonfiare il prezzo dell’abbonamento e Spotify Premium costerebbe più di Apple Music. Non lo possiamo fare, perché vogliamo mantenere un prezzo competitivo per i nostri clienti”, ha sottolineato l’azienda europea.
Se Spotify sceglie di non usare il sistema di pagamento di Apple per aggirare la “tassa” del 30%, Apple allora applica una serie di restrizioni tecniche che rendono meno accattivante l’esperienza su Spotify. Nel tempo, questo comportamento ha escluso Spotify e altri concorrenti dai servizi Apple come Siri, HomePod e Apple Watch.
Nella denuncia alla Commissione Ue Spotify ha chiesto di garantire competizione ad armi pari sull’App Store per tutte le app e che i consumatori abbiano vera scelta tra i i sistemi di pagamento e non siano costretti a usarne uno di preferenza, mentre le alternative subiscono condizioni discriminatorie. Infine, “gli app store non dovrebbero poter controllare le comunicazioni tra i fornitori dei servizi e gli utenti: no alle sleali restrizioni su marketing e offerte che beneficiano i consumatori”.
Le condizioni dell’App Store sono state definite discriminatorie anche da altri provider. A gennaio 2019 Netflix ha annunciato che non supporterà più per i nuovi clienti l’opzione di billing via iTunes per la sua iPhone app proprio a causa della commissione del 30%.
Quanto guadagna Apple dall’App Store
L’App Store di Apple ha generato l’anno scorso 519 miliardi di dollari di vendite nel 2019. Di tale somma, 413 miliardi sono rappresentati da beni fisici e servizi, mentre la pubblicità in-app genera 45 miliardi. Su questi ricavi (un totale di 458 miliardi) Apple non trattiene alcuna commissione. Si tratta, per esempio, di app del retail per iPhone e iPad, come Amazon.com, che hanno prodotto un totale di 268 miliardi di dollari, oppure delle app del settore travel (57 miliardi) e del ride-hailing (40 miliardi). Lo rivela uno studio commissionato dalla stessa Apple e realizzato da Analysis Group.
L’attività dell’App Store su cui guadagna Apple è il rimanente 15%, pari a un valore di circa 63 miliardi di dollari, e deriva da beni digitali e servizi come gli abbonamenti musicali e video o acquisti all’interno delle app di giochi. È la prima volta che la casa di Cupertino cerca di quantificare l’attività dell’App Store che non porta guadagni per Apple.
Le commissioni sull’App Store sono fondamentali per i conti della Mela, soprattutto adesso che le vendite di iPhone rallentano. L’App Store è l’unico mezzo con cui gli sviluppatori possono commercializzare le app per i dispositivi mobili della Mela; Apple trattiene una commissione che varia tra il 15% e il 30% sui beni digitali e i servizi acquistati tramite il suo negozio di applicazioni.