L’Ocse scende in campo per far pagare le tasse ai giganti del Web, puntando a modificare le norme internazionali. Secondo il quotidiano francese Le Figaro il piano dell’Ocse sarà presentato a Mosca il prossimo 14 e 15 febbraio, dove si riunirà il G20 delle finanze, mentre per il piano d’azione più dettagliato bisognerà aspettare l’estate. E la scelta di presentare il piano in via preliminare a Mosca non è casuale. In quell’assise infatti non saranno presenti i piccoli paesi che praticano “dumping fiscale” a favore di Google, Apple & co. – Svizzera, Irlanda e Lussemburgo – ma ci saranno tutti gli altri, compresi Cina, Russia, Brasile e India, più propensi a mettere ordine alla giungla fiscale. E stavolta le intenzioni dell’Ocse trovano d’accordo anche la Casa Bianca.
Secondo Pascal Saint-Amans, a capo del dipartimento degli affari fiscali dell’Ocse, “è necessario un cambiamento delle norme internazionali per tassare i profitti laddove si realizzano le attività”. Due le ipotesi al vaglio dell’Ocse. La prima sarebbe il divieto di utilizzare le cosiddette “scatole vuote” ovvero quelle società che vengono utilizzate esclusivamente per trasferire i profitti verso paesi fiscalmente più “laschi”. La seconda riguarda la fine delle società ibride, quelle che hanno una doppia nazionalità fiscale. Per Gli Stati Uniti, ad esempio, Google Europa è un’azienda irlandese ma per il governo di Dublino è domiciliata alle Bermude. Si tratta di modalità del tutto legali ma che permettono comunque di eludere le leggi in materia di tassazione.
L’Ocse spera di arrivare a nuove regole in diciotto mesi. E solo dopo inizierà un percorso molto delicato dato che ogni stato dovrà incorporare le nuove regole nella propria legislazione. Nell’Unione europea, per esempio, tutte le decisioni in materia fiscale devono essere prese all’unanimità ed è evidente che paesi come il Lussemburgo e l’Irlanda si potrebbero schierare contro misure che vanno contro i loro interessi.