IT SECURITY

Artini: “La cybersecurity è centrale quanto la lotta al terrorismo”

Il vicepresidente della commissione Difesa alla Camera: “Istituzioni si muovono ma sono in ritardo. Bisogna accelerare: un attacco sarebbe deleterio per l’Italia”. E l’avvocato Mele lancia l’allarme: “Siamo al Far West giuridico”

Pubblicato il 10 Mar 2014

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“La questione delle difese dagli attacchi cibernetici al Paese è centrale almeno quanto la difesa dal terrorismo”. Lo ha detto Massimo Artini (nella foto), deputato del Movimento 5 stelle e vicepresidente della commissione Difesa della Camera, durante “Presi per il Web”, trasmissione di Radio Radicale condotta da Marco Perduca, Marco Scialdone e Fulvio Sarzana, con la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi.

“Andare a disabilitare i sistemi informatici di un Paese e far crollare le comunicazioni – ha affermato Artini – è ormai il primo vero obiettivo quando si inizia un conflitto armato. Se il Congresso degli Usa fa passare il concetto che dall’attacco hacker di un singolo fino a qualcosa di più strutturato si possa considerare come aggressione militare in senso ampio questo ha delle ripercussioni anche sui trattati internazionali. Nell’ultimo anno in commissione Difesa abbiamo rilevato che c’era sempre poca attenzione verso i sistemi di sicurezza, vedere che finalmente si è arrivati ad un piano in questo senso è un buon segno, anche se tardivo; sono anni che come tecnici segnaliamo queste problematiche di controllo e verifica per i sistemi vitali di un Paese”.

“Il 17 di marzo – ha spiegato Artini – terminerà la prima fase di lavoro della commissione alla quale farà seguito un’indagine conoscitiva sulle strumentazione d’arma e difesa cibernetica. Nel documento che stiamo cercando di stilare all’interno del Movimento è c’è proprio questo secondo aspetto, poco approfondito durante le audizioni in commissione. Da informatico guardo il caso limite, il rischio peggiore, ed è a questo che bisogna dare risalto, almeno quanto si dà e si è dato ai pericoli del terrorismo. Dobbiamo essere consapevoli che subire un attacco oggi per l’Italia sarebbe deleterio per troppi aspetti. Quello che abbiamo visto questi giorni in Ucraina è emblematico, con Paesi come la Russia che hanno molto investito sule capacità professionali e tecniche per l’attacco e sulle strumentazioni di difesa”.

“La nostra legislazione – ha continuato Artini sulla vicenda del datagate – ha dei parametri e delle peculiarità molto diversi rispetto a quelli dei paesi anglosassoni, e gli stessi servizi segreti esteri, come si legge nei documenti filtrati durante il Datagate, parlano di questa capacità più limitata dei nostri servizi”.

“Al momento c’è un Far West in merito all’inquadramento giuridico delle nuove armi cibernetiche, i cyberweapon – ha aggiunto in trasmissione Stefano Mele, avvocato specializzato in Diritto delle Tecnologie, privacy, sicurezza ed intelligence – Per parlare di arma cibernetica – ha detto Mele – occorre analizzare tre elementi: il contesto di conflittualità, lo scopo del danneggiamento e il mezzo tecnologico impiegato. Le nuove tecnologie hanno aperto il mercato della guerra a soggetti non statali più o meno organizzati, che siano gruppi o singole persone. Per la maggior parte degli scenari attuali sarebbe invece meglio utilizzare, piuttosto che ‘guerra’, il termine di cyber ‘warfare’, conflittualità. Sarà importante nel prossimo futuro – ha concluso Mele – diffondere la conoscenza degli strumenti che permettono ai cittadini di difendersi dalle minacce informatiche”.

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