MERCATI

Audiovideo, nello “screen content” il futuro del business

Il nuovo ecosistema integrato di consumi online configura nuove potenzialità per gli stakeholder. La sfida delle piattaforme Ott al centro delle agende di aziende e regolatori. Ne parlano esperti, imprese e authority riuniti a convegno

Pubblicato il 16 Feb 2017

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Due parole con cui gli operatori del digitale dovranno presto fare i conti: screen content. E’ il punto d’arrivo della convergenza. Ovvero, il sistema integrato di un futuro molto vicino per contenuti e servizi editoriali consumati su schermi diversi: pc, tv, smartphone, tablet. Sarà all’interno del nuovo ecosistema trainato da Internet che si muoverà l’economia nel giro di pochi anni facendo piazza pulita del mercato della comunicazione così come lo conosciamo ora. Lo ha detto Emilio Pucci, fondatore e direttore di E-Media Institute, presentando oggi l’ultimo rapporto sul mercato audiovisivo al convegno dell’istituto Bruno Leoni Sistema audiovisivo: evoluzione e dimensioni economiche, che ha visto alternarsi ai microfoni, coordinati da Antonio Pilati, oltre al sottosegretario Giacomelli e Pucci, Giovanni Pitruzzella Garante della Concorrenza e del mercato, Paolo Del Brocco ad Rai Cinema, Giorgio Grignaffini direttore editoriale Taodue, Giovanni Guzzetta ordinario Diritti costituzionale Roma Tor Vergata, Giancarlo Leone (Media consultant), Antonio Nicita commissario Agcom.

Nel nuovo mondo dello screen content non esiste più una distinzione fra Tv, radio, cinema, musica, Internet. Salta la differenza fra quotidiano online e online Tv perché “l’insieme delle offerte, concepite sulla base di una varietà funzionale sempre più ampia – dice Pucci – è riportata all’interno di uno stesso sistema integrato ed espresso in una pluralità di firmati multimediali”.

Lo screen content è il “blob”, la “cosa” che includerà nuovi servizi e funzioni editoriali non più comprensibili con i vecchi arsenali “cognitivi”. Getterà invece le basi “di un contesto d’offerta globale – spiega Pucci – non limitato da confini politici e territoriali”. Ma soprattutto esalterà la centralità le funzioni del trattamento dei dati generando uno scenario inedito. Perché gestione dei dati significa pubblicità, ma attenzione: “Non si parla più di pubblicità così come la conosciamo. Si tratta ora di avere il massimo controllo delle abitudini di consumo degli individui – dice Pucci – su cui si costruiscono nuovi servizi e si attivano nuove revenue. Il valore si sposta dall’attenzione degli utenti al valore dei dati che l’utente genera nell’arco della giornata attraverso l’attivazione di app e servizi”.

Il settore dei media è fra i più vicini al ‘vortice’ generato dalla disruption digitale” dice Giovanni Pitruzzella: da un lato grandi chance offerte dall’apertura della concorrenza, dall’altro rischi di cannibalizzazione delle fonti di ricavo tradizionali. “Un quadro in movimento che dobbiamo capire se affrontare solo su base di mercato o di framework regolatori, a partire dall’Europa”. Si tratta di accompagnare un lungo processo di cambiamento degli assetti del mercato mantenendo una struttura concorrenziale”. Anche se la Tv lineare “non sarà spazzata via in tempi brevi”, dice il Garante. Il rapporto E-Media evidenzia come in Europa nell’audiovideo gli introiti derivanti da sottoscrizioni on demand siano aumentati da 40 milioni euro del 2010 a 844 mln del 2015 a fronte di un valore mercato complessivo del settore di 90 miliardi (in Italia servizi tv online valgono solo 36 mln euro 2015). “Ma i servizi tv online vanno crescendo a ritmi significativi”. E’ una sfida anche per il regolatore che deve confrontarsi “con forti processi di concentrazione”.

Ma mercato audiovisivo significa ancora Tv, nel ruolo del leone. Seppure un leone sempre più in difficoltà, a fronte di nuovi entranti come Netflix. “Nel mare aperto del nuovo mondo della Tv online vedo un’immagine triste: al centro dell’arcipelago rappresentato dalle offerte delle varie app, un’isola che raccoglierà tutti i ‘pirla’ che rispettano le regole del pluralismo”. La provocazione la lancia Gina Nieri e riassume l’allarme dei broadcaster tradizionali di fronte alla carica degli Over the top nel mondo dell’audiovisivo.

Come gestire l’Europa nell’avventura digitale guidata dagli Over the top che innovano rompendo gli schemi? Secondo Nieri serve stringere le fila puntando su un compromesso in grado di preservare business e rispetto dei diritti costituzionali. “Non è tollerabile – dice Nieri – che Facebook fatturi un miliardo e mezzo avendo solo 35 dipendenti in Italia”. Non si tratta di “proibizionismo”, ma per mettere le aziende europee e italiane, costrette al rispetto di vincoli normativi, in grado di competere con aziende deregolamentate: “Vogliamo competere – dice Nieri – ma ci serve un agone a pari condizioni” adeguando le regole ai nuovi mercati ma preservando la difesa degli stessi diritti richiesta alle imprese europee. “Non si può subire una colonizzazione tecnologica, com’è successo finora, senza sistemi antivirus”.

Serve una rifondazione dei sistemi di valutazione dei mercati editoriali e audiovisivi, secondo il commissario Agcom Antonio Nicita, imposti dall’avvento di Internet of Things “anzi – precisa Nicita – dell’Internet of Beings che interrela sempre più materiale e immateriale”. In un sistema in cui la domanda determina i contorni del mercato è “l’economia dei dati” a tenere il timone ponendo nuove sfide. Alle industria ma anche al regolatore. E allora, nel settore editoriale, “chi sono i responsabili?”. Se oggi il 70% dei ragazzi utilizza Facebook come principale fonte di informazione “serve rivedere i paradigmi che definiscono il contenuto editoriale e anche la sua percezione”. Nei nuovi ecosistemi dominati da algoritmi, framing e gestione dei dati personali l’offerta aggregata di notizie, “l’organizzazione editoriale”, potrebbe stare “a metà strada fra il mero trasporto e la responsabilità editoriale”, chiamando a nuovi sistemi di regole.

Ruolo dei contenuti e misurazione di utilizzo delle nuove piattaforme al centro dell’intervento di Giancarlo Leone, ex dirigente Rai di lungo corso, secondo cui nel sistema dello screen content la produzione di contenuti sarà sempre più al centro della scena. “Ai broadcaster servono sempre più prodotti d’eccellenza, non solo nazionali” ha detto Leone sottolineando che le Tv generaliste si preparano a rivestire il ruolo dei “grandi impaginatori” affidando a produttori indipendenti la realizzazione di contenuti pregiati. Capitolo a parte per i sistemi di misurazione, “ormai totalmente inadeguati” a far fronte ai nuovi scenari creati da Internet: “per Auditel un minuto di visione equivale a un contatto. Per i browser lo stesso contatto viene conteggiato con due soli secondi di passaggio su una pagina: un sistema da rivedere”.

Il ruolo della Tv pubblica al centro dell’intervento di Paolo Del Brocco, secondo cui la strada intrapresa da Rai “va nella giusta direzione: un primo importante step è stato raggiunto dalla nuova Rai Play”. Ma “ci sarà molto altro da fare”, a cominciare dalla spinta sulla qualità e da una diversa organizzazione dell’offerta adeguata ai mutati cambiamenti di consumo imposti dalle piattaforme Over the top”.

Una grande “sfida giuridica”, ecco lo scenario disegnato Giovanni Guzzetta che individua un doppio profilo di trasformazione: su prospettiva micro (diritti e responsabilità nelle nuove interrelazioni favorite dall’IoT), e macro (il ruolo pubblico nel “nuovo groviglio” innescato dall’irrompere sulla scena delle aziende online). “Serve trovare nuove strade in grado di riequilibrare il posto dell’Italia nei nuovi mercati – dice lo studioso -. E la prima domanda da porsi è di tipo politico: abbiamo sempre bisogno di una via italiana all’innovazione o vogliamo aderire a modelli ‘globali’? Serve ancora il modello articolo 43 della Costituzione o il 101 e 102 delle normative sulla concorrenza? Siamo in una fase di transizione. Va gestita al meglio”.

Serve un focus sulle politiche produttive dei contenuti, per non rischiare che l’Italia esca sopraffatta dalle nuove sfide, dice Giorgio Grignaffini. “In un contesto in cui le piattaforme giocano su scala mondiale occorrono politiche industriali in grado di mettere in campo “produzioni in grado di reggere la competizione” intercettando “la nuova domanda”.

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