LO STUDIO

Aumenta il “digital mismatch”, ma la colpa è (anche) delle aziende

Il gap tra domanda e offerta di lavoro Ict zavorra l’Italia: tra tre anni resteranno scoperte 135mila posizioni. Scuole e università non rispondono adeguatamente alle sfide del nuovo mercato ma anche le imprese puntano troppo poco sulla formazione. La fotografia scattata da Modis

Pubblicato il 16 Mar 2018

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Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro nell’Ict zavorra l’Italia ed è destinato da ampliarsi nei prossimi anni. Il gap tra domanda e offerta di competenze passerà dal 9% del 2015 al 18% nel 2020: in pratica a fronte di 28.000 nuovi posti di lavoro creati nel 2016 e altri 57.000 richiesti fra il 2017 e il 2018, nel nostro paese fra tre anni 135mila posizioni resteranno scoperte. Questi dati fanno dell’Italia, nello scenario europeo, uno dei Paesi che saranno maggiormente in difficoltà negli anni a venire. È la conclusione del report Modis presentato oggi alla Milano Digital Week. 

Negli ultimi tre anni, i siti web italiani dedicati alla ricerca di lavoro hanno raccolto 175mila annunci di aziende in cerca di professionisti dell’Ict, con una crescita annua media del 26%. Circa due terzi delle ricerche riguardavano sviluppatori, system analyst e Ict consultant. L’analisi di queste ricerche racconta come il profilo Ict richiesto dalle aziende sia in costante evoluzione, con la necessità di nuove competenze che oscilla fra il 56 e il 90%, a seconda della figura ricercata.

Il 40% delle società lamenta inadeguatezza dell’offerta dei professionisti del settore: a fronte di una richiesta di oltre 4 mila ingegneri informatici, in Italia nel 2016 solo poche centinaia di persone hanno conseguito una laurea in questo settore.

Le ricerche riguardano per il 62% laureati e per il 38% diplomati. Il sistema formativo però continua a proporre troppi diplomati (8.400 quelli in eccesso) e pochi laureati in percorsi Ict, con un deficit fra le 4.400 e le 9.500 unità. È solo parzialmente rincuorante il trend delle immatricolazioni nelle facoltà dell’area Ict. Nell’anno accademico 2016/2017 infatti si è registrata una crescita dell’11%, ma il tasso di abbandono è ancora troppo alto (60%).

L’assenza di candidati in grado di far fronte alla richiesta occupazionale non è però imputabile all’università. Il ruolo delle aziende e la capacità formativa del sistema nel suo complesso sono cruciali anche per la creazione di imprese sempre più competitive. Tra le professioni più richieste oggi c’è per esempio quella del data analyst ma la carenza di tali profili è notevole, con il conseguente rallentamento dell’adozione di nuove tecnologie e di strategie al passo con i tempi.

Nel 2017 ci si attende un fatturato globale relativo a servizi di business analytics e big data intorno ai 200 miliardi di dollari, con una crescita del 50% sul 2016. In Italia, dove il mercato vale oggi 276 milioni di dollari, la crescita è stimata al 21%. Uno dei motivi per cui il dato è inferiore rispetto al trend generale è l’inadeguatezza dell’offerta di professionisti del settore e la difficoltà di reperire figure specifiche (60%).

Questo è in parte conseguenza del digital mismatch che spinge le aziende a puntare su risorse non ancora laureate quando le necessarie figure professionali non sono reperibili sul mercato o hanno un costo eccessivo per l’azienda.

Ma quali sono le figure più cercate? La domanda di professionisti Ict cresce mediamente del 26% ogni anno, con punte del 90% per quanto riguarda i nuovi profili come il business analyst o tutti quelli relativi ai big data, a sottolineare l’evoluzione verso l’azienda data-driven. Per le nuove figure professionali, come gli specialisti di cloud computing, cyber security, IoT, service development, service strategy, robotica o intelligenza artificiale, la crescita media sale al 56%. Sviluppatori, system analyst e Ict consultant rappresentano più di due terzi della domanda totale. Le figure in assoluto più ricercate sul mercato sono quelle dei programmatori, a cui seguono analisti programmatori, collaboratori informatici, help desk specialist, tecnici hardware/ software, web developer, analisti funzionali e system engineer. Un ruolo chiave gioca anche la figura del technical consultant.

Le aziende vorrebbero avere a disposizione risorse con competenze specifiche ed esperienza pregressa in due settimane, ma si scontrano con un mercato che per questo tipo di figure richiede solitamente il doppio del tempo. Una delle conseguenze di questa situazione è l’incremento dei salari per i neolaureati, più pronti a entrare in corsa su un nuovo progetto e più attratti dalla possibilità di lavorare su nuove tecnologie che dall’offerta economica. Così, un neolaureato oggi costa in media 26.000 euro di Ral, mentre cinque anni fa la stessa risorsa costava 22.000 euro.

Le dinamiche del mercato consentono oggi ai neolaureati di fare carriera più velocemente e raggiungere cifre importanti in tre o quattro anni. Anche il reperimento di neolaureati però non è semplice: ancor prima della laurea, hanno già diverse offerte di lavoro, oppure sono tentati da esperienze all’estero o sono attratti dall’idea di lavorare in una startup.

Sul fronte skills Modis evidenzia che, oltre all’inglese (non solo tecnico), le imprese cercano un mix di competenze tecnico-digitali e soft skill come pensiero critico, creatività, leadership e capacità di gestione del cambiamento. Alle nuove figure come digital strategic planner, digital manager, chief digital officer o innovation manager viene oggi richiesta la capacità di contestualizzare e allineare strategie di business ed evoluzioni tecnologiche. Allo stesso modo, nell’Industria 4.0 si richiede di combinare con competenze più strategiche conoscenze tecnologiche sviluppate su più fronti (protocolli industriali, IoT, cloud computing, big data, nuove app, realtà aumentata, robotica e security).

Ai nuovi professionisti della sicurezza come cyber security manager, cyber security expert, responsabili della sicurezza delle informazioni, viene invece richiesto di presidiare contesti eterogenei e in continuo cambiamento.

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