Non si può ancora parlare di svolta ma di un significativo passo in avanti certamente sì. Per la prima volta in Italia le donne che siedono nei board delle società quotate è maggiore di un terzo rispetto al totale dei membri dei Consigli d’Amministrazione. È quanto emerge dalla ricerca “Le donne ai vertici delle società italiane” a firma di Cerved, presentata oggi alla biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” nell’ambito di un convegno promosso dalla Fondazione Marisa Bellisario.
A far impennare la curva è stata essenzialmente l’applicazione della legge di genere 120/2011 che riguarda le società quotate e a partecipazione pubblica e a seguire l’applicazione delle analoghe norme – in vigore dal 12 febbraio 2013 – che hanno esteso le regole alle società a controllo pubblico. Un ruolo non da poco ha avuto anche la diffusione delle nuove tecnologie nonché della modalità smart working. In dettaglio, la rappresentanza femminile è cresciuta di 558 unità tra le società quotate in Borsa e di 660 tra le controllate pubbliche. Sono 162 (70%) le società quotate che ottemperano l’obbligo, tuttavia solo in 26 (11%) il numero supera di almeno un’unità il minimo richiesto: infatti a fine 2017 sono 751 le donne che siedono nei Consigli d’Amministrazione delle 227 società quotate alla Borsa di Milano, pari al 33,5% dei 2.244 membri dei board. Si registra dunque un aumento del 9,3% sul 2016 e si tratta di un numero quattro volte superiore a quello del 2011. Rimangono marginali invece i casi di donne che ricoprono la carica di Amministratore Delegato (18 a fine 2017, una in più del 2016, pari al 7,9% delle società) o di presidente del Cda (23, due in più del 2016).
Se è vero però che da un lato si registra un aumento della presenza femminile nei board delle società quotate e controllate è anche vero che la crescita non ha generato l’effetto trascinamento sulle altre imprese. Nelle posizioni di vertice delle società che non sono soggette alla legge sulle quote di genere, infatti, la presenza femminile cresce lentamente, in gran parte grazie a fattori demografici, con una maggiore quota mano a mano che le nuove generazioni assumono il comando. Segnali più incoraggianti si osservano nel segmento delle imprese di maggiore dimensione (fatturato oltre 200 milioni), dove le norme sulle società quotate potrebbero aver prodotto effetti indiretti. “La legge è stata un successo e ha trovato ampia applicazione anche se la crescita dove non ci sono quote rosa è lenta – commenta Marco Nespolo, Amministratore Delegato di Cerved -. Per avere un risultato profondo nel tessuto economico del Paese e per promuovere una maggiore presenza femminile anche negli spazi non contemplati dalla legge c’è molto da lavorare. Le imprese, ad esempio, possono utilizzare di più e meglio la tecnologia e lo smart working per favorire percorsi di carriera femminili più rapidi”.
La presenza di donne nei Consigli d’Amministrazione risulta in aumento anche tra le società italiane che non sono oggetto di norme specifiche sulla parità di genere. Questa tendenza è però lenta e sembra riflettere principalmente tendenze demografiche, con una quota femminile maggiore tra gli amministratori più giovani. Nelle grandi società, che partivano da una presenza più bassa, l’incremento risulta più consistente, a indicare che le norme sulle quotate potrebbero aver prodotto effetti indiretti in questo specifico segmento.
Al netto delle società quotate e a controllo e partecipazione pubblica la fotografia scattata dal Cerved mostra una strada ancora molto in salita: se si considerano le principali società non finanziarie italiane che nel corso dell’ultimo decennio hanno realizzato un fatturato superiore a 10 milioni di euro (circa 14.000), risultano donne 9.000 dei 53.000 amministratori (17,2%), appena 2,2 punti percentuali in più del 2012, con una leggera accelerazione rispetto al quinquennio precedente. Le donne crescono sia nelle società con amministratore unico (da 10,9 a 12,2% tra il 2012 e il 2017) sia in quelle che hanno un board collegiale (da 15,2 a 17,4%). “Le imprese hanno potuto apprezzare il contributo femminile e oggi abbiamo board più giovani e competenti – commenta Lella Golfo, Presidente della Fondazione Marisa Bellisario -.Ma ora dobbiamo andare oltre. Servono più donne nei ruoli esecutivi e, prima che la legge scada, dobbiamo amplificarne l’effetto di contagio sull’intero sistema economico. Avere più donne ai vertici significa traghettare il Paese verso un orizzonte di crescita, benessere, modernità”.
Le donne sono proporzionalmente più presenti nei board delle Pmi ma la crescita è più forte tra le società di maggiori dimensioni: tra il 2012 e il 2017 la quota femminile nei Consigli d’Amministrazione è infatti cresciuta dal 9,9 al 14,2% nelle aziende che fatturano più di 200 milioni di euro, dal 13,1 al 15,5% in quelle tra 50 e 200 milioni e dal 16,8 al 18,8% in quelle tra 10 e 50 milioni.
Nonostante le tendenze generali positive, tra il 2012 e il 2017 è tornato leggermente a diminuire il numero di società che hanno nel board almeno una donna (da 48,5 a 48,2%), in compenso è cresciuto (da 26,2 a 30,1%) quello in cui le donne sono almeno un terzo dei membri del board. La quota di società che risulterebbero in regola secondo le norme stabilite per le società quotate è quasi raddoppiata tra chi fattura almeno 200 milioni di euro, passando da 12 a 21,5%.
I dati indicano in lenta ma progressiva crescita anche il numero di donne che occupano il ruolo di amministratore delegato: a fine 2017 risultano a capo dell’impresa 1.473 donne, circa il 10% del totale, con un incremento di 133 unità rispetto al 2012. Come nel caso dei componenti dei board, la presenza di donne a capo dell’azienda risulta più frequente nelle imprese di piccole dimensioni, ma la tendenza alla crescita è più pronunciata nelle grandi imprese: sono donne l’11,5% degli ad delle società con ricavi compresi tra 10 e 50 milioni (10,4% nel 2012), l’8,1% di quelle tra 50 e 200 milioni (7,6%) e il 6,3% delle più grandi (3,8%). In generale, le donne che siedono nei board delle società analizzate risultano di due anni più giovani dei loro colleghi uomini (55 contro 57 anni). All’aumentare dell’anzianità degli amministratori diminuisce la quota di donne, che passa dal 27,5% degli under 35 al 15% degli over 55.