Google si oppone pubblicamente a una proposta che il Parlamento australiano sta valutando: pagare gli editori una quota per le notizie e i video che vengono condivise sulle piattaforme digitali come Google News, YouTube e Facebook. In un post sul blog ufficiale, la società ha scritto che tale proposta “potrebbe avere un impatto negativo e significativo sull’ecosistema di creatori in Australia”.
La proposta di legge – nota come News Media Bargaining Code – mira a stabilire un pagamento per ogni notizia o video condivisi su servizi come Google News e YouTube. Entro circa dieci giorni le consultazioni pubbliche sulla questione saranno chiuse; la lettera aperta di Google mira a smuovere non gli editori, bensì gli utenti che usufruiscono dei servizi e i creatori di contenuti.
Secondo Mel Silva, managing director di Google Australia, la legge, se dovesse essere approvata, “non impatterebbe soltanto sul modo in cui Google e YouTube lavorano con gli editori – impatterebbe tutti i nostri utenti australiani”. In che modo? Per Big G, gli editori potrebbero avere accesso a più dati del necessario sul modo in cui gli utenti usano i suoi servizi, minando in questo modo la loro privacy. Inoltre, la società ritiene che se fosse obbligata a concedere più soldi ai grossi editori, l’ecosistema dei piccoli creatori di contenuti verrebbe danneggiato poiché la legge darebbe un “vantaggio scorretto a un gruppo di imprese – gli editori – sopra a qualunque altra persona abbia un sito web, un canale YouTube o una piccola impresa”. In sostanza, la legge “metterebbe a rischio i nostri servizi gratuiti”.
La lettera di Silva non è passata inosservata in Australia. “Google non sarà obbligata a far pagare gli australiani per l’uso di servizi gratuiti come Google Search e YouTube a meno che non scelga di farlo” ha commentato Rod Sims dell’Australian Competition and Consumer Commission. Riguardo alle parole di Silva, Sims ha dichiarato che “contengono disinformazione” e, sul tema dei dati, ha chiarito che “Google non dovrà condividere con gli editori australiani alcun dato aggiuntivo sugli utenti a meno che non scelga di farlo”.
Fino al 28 agosto tanto gli editori quanto le piattaforme digitali potranno integrare i loro pareri per la consultazione pubblica sulla questione. Il risultato della situazione australiana potrebbe rappresentare un nuovo punto fermo sulla questione, molto sentita anche nell’Unione Europea. Nel 2014, quando in Spagna venne applicata una simile forma di pagamento, Google non esitò e bloccò l’edizione spagnola di Google News prima di raggiungere un nuovo accordo locale.