SCENARI

Automazione e pandemia, mix esplosivo: a rischio 85 mln di posti di lavoro

La fotografia scattata dallo studio del Wef “The Future of Jobs 2020”: “Mannaia sui lavoratori più fragili. Più formazione digitale per invertire il trend”. E il settore pubblico deve migliorare i sistemi di istruzione per rispondere alle richieste di un mercato in profonda trasformazione

Pubblicato il 21 Ott 2020

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Il futuro del lavoro è già qui e il Covid-19 ha accelerato la trasformazione. Trasformazione che, in assenza di correttivi, rischia però di essere una mannaia sui lavoratori soprattutto per le categorie più svantaggiate, che risentono del doppio impatto della tecnologia e della recessione causata dalla pandemia, con un aumento delle disparità.

La fotografia è scattata dal secondo il rapporto “The Future of Jobs 2020” realizzato dal World Economic Forum, secondo cui entro il 2025 l’automazione e una nuova divisione del lavoro tra essere umani e macchine colpirà 85 milioni di posti di lavoro, a livello globale nelle medie e grandi imprese, in 15 settori e 26 economie, e l’impatto sarà principalmente nelle mansioni di routine o manuali.

Di contro saranno creati 97 milioni di nuovi ruoli, soprattutto in settori ad alte competenze e servirà il sostegno di aziende e Governi per quanti resteranno tagliati fuori dalla “rivoluzione”. Entro 5 anni, le aziende divideranno il lavoro a metà tra esseri umani e macchine. Oltre l’80% dei business executive, interpellati dal Wef, stanno accelerando i piani per digitalizzare i processi lavorativi ed utilizzare nuove tecnologie.

Il 50% dei datori di lavoro prevede di accelerare l’automazione in alcuni ruoli nelle loro aziende. Il tele-lavoro sarà sempre più diffuso e potrebbe interessare il 44% dell’organico. Anche tra i lavoratori che manterranno il proprio ruolo nei prossimi cinque anni, quasi la metà avrà bisogno di riqualificarsi per apprendere nuove competenze.

In Italia le tendenze sono ancora più accentuate della media: il Covid-19 ha indotto tutte le aziende interpellate ad accelerare la digitalizzazione, 8 su 10 intendono automatizzare le mansioni e altrettante intendono dare più opportunità di lavoro da remoto. Tuttavia, solo il 40% delle aziende punta ad accelerare i programmi di riqualificazione dei dipendenti. In tutti i casi, comunque, si tratta di percentuali superiori sia a quelle della Germania che della Francia.

Nell’insieme, a livello globale contrariamente a quanto è avvenuto in passato, la creazione di posti di lavoro sta rallentando mentre la loro distruzione si è fatta più rapida, ammonisce lo studio. Il Covid-19 ha accelerato l’arrivo del futuro del lavoro. Il maggiore uso dell’automazione e le ricadute della recessione causata dalla pandemia hanno allargato le disparità nei mercati del lavoro e ribaltato i guadagni nell’occupazione realizzati dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009.

“E’ uno scenario di doppia ‘rottura’, un nuovo ostacolo per i lavoratori in questi tempi difficili – spiega Saadia Zahidi, Manging Director del World Economic Forum – L’unica strada è agire al più presto: aziende, Governi e lavoratori uniscano le forza per realizzare una nuova visione per la forza lavoro globale”.

Il 43% delle aziende sono intenzionate a ridurre i dipendenti per effetto dell’integrazione tecnologica, il 41% prevede di utilizzare collaboratori per mansioni specializzate e solo il 34% punta ad aumentare l’organico per l’integrazione tecnologica. Lo studio stima per altro che 97 milioni di nuovi ruoli emergeranno in settori quali l’economia dell’assistenza, le industrie della quarta rivoluzione industriale come l’intelligenza artificiale e i settori legati alla creazione di contenuti. Aumenterà la domanda per i ruoli che si basano sulle competenze umane, mentre le macchine si occuperanno dell’elaborazione dei dati, dei compiti amministrativi e dei lavori manuali di routine sia tra gli impiegati che tra gli operai. I compiti in cui gli esseri umani manterranno il loro vantaggio comparativo saranno il management, la consulenza, l’assunzione di decisioni, la comunicazione.

In questo scenario 2 datori di lavoro su 3 ritengono che gli investimenti nella riqualificazione dei dipendenti possa avere un ritorno positivo entro un anno e in media intendono offrire programmi di riqualificazione al 70% dell’organico e prevedono di riconvertire con successo il 46% dei dipendenti a nuove mansioni.

“Le aziende più competitive saranno proprio quelle che investono maggiormente nel loro capitale umano, nelle competenze ed abilità dei loro dipendenti”, si legge nel report.

Le persone e le comunità più svantaggiate pagano il prezzo più alto del doppio impatto della tecnologia e della recessione innescata dal Covid-19 ben piu’ di quanto sia avvenuto con la crisi del 2008, sottolinea lo studio. L’Adp Research Institute, partner del rapporto, ha rilevato che negli Usa tra febbraio e maggio, la maggior parte dei lavoratori che hanno perso il lavoro erano donne, giovani e a basso salario. Uno scenario che probabilmente trova conferma nella maggior parte dei Paesi. Attualmente solo il 21% delle aziende possono utilizzare fondi pubblici per i propri programmi di riqualificazione.

Il settore pubblico – avverte il Wef – dovrebbe intervenire fornendo reti di salvataggio più forti per i lavoratori colpiti dalla rivoluzione, migliorando i sistemi di istruzione e formazione e creando incentivi per gli investimenti nei mercati e nei lavori del futuro. Le aziende dal canto loro possono “misurare”  la condizione dei loro dipendenti adottando i parametri Esg (environmental, social and governance). Questo aiuterà a fornire sostegno laddove è necessario e assicurare che le carenze che emergono vengono rapidamente identificate e auspicabilmente chiuse.

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