Uno degli argomenti più citati da quanti si oppongono ai principi della net neutrality è che il mercato è in grado da solo di creare opportunità e alternative, senza che il governo imponga alcuna regolamentazione del servizio di banda larga veloce. L’affermazione sembra però cozzare contro l’evidenza: in realtà, l’attuale situazione del relativo mercato Usa non è così competitiva come la si vuol far sembrare.
Al riguardo, una fotografia impietosa della situazione l’aveva recentemente fornita il chairman della Fcc Tom Wheeler in un suo intervento significativamente intitolato “The Facts and Future of Broadband Competition” (“I fatti e il futuro della competizione nella banda larga”). In quell’occasione si ricordava come per la fruizione di banda larga a 25 Mbps in download (Wheeler lo definisce il requisito minimo nel futuro prossimo dell’uso di Internet) gli utenti Usa siano di regola in mano ad un numero assai limitato di provider. Se è vero che l’80% degli americani ha accesso a quella velocità di connessione, è anche vero che oltre la metà di costoro non ha alternative all’attuale provider. In altre parole, aveva ammonito Wheeler, “può anche sembrare che vi sia concorrenza, ma il mercato non offre agli utenti una reale possibilità di cambiare provider”. Per le connessioni a velocità maggiori – quali i 100 Mbps su cui, secondo Wheeler, “dovremmo puntare man mano che entriamo nel XXI secolo” – la situazione è ancora più preoccupante: oltre il 40% delle case americane infatti non ha possibilità di accesso a tale connessione.
Un altro modo di vedere il problema è quello di prendere atto che, stando ai dati dell’US Census Bureau, solo il 73% degli americani ha un contratto di fornitura di servizio di banda larga. Un dato sconcertante, se raffrontato al 95% dell’Olanda e all’88% di Gran Bretagna e Germania, e che non può spiegarsi solo con l’argomentazione che gli Stati Uniti sono grandi e che una quota significativa di popolazione è dispersa sul territorio, in zone perlopiù rurali. Ci sono infatti città quali Detroit, Miami, Memphis e New Orleans in cui il tasso di connessione alla banda larga non supera il 60%. Il problema, in altre parole, è anche di costi e quindi di quanti possono – o, meglio, non possono – permettersi una connessione anche “lenta”. Negli Usa il pacchetto base per una linea a 2,5 Mbps in media costa 44 dollari, il doppio rispetto alla Gran Bretagna e il triplo rispetto alla Corea del Sud. Simili costi mettono la banda larga fuori della portata di un numero rilevante di famiglie, soprattutto se appartenenti a minoranze etniche. Se l’effetto della concorrenza è quello di abbassare i costi per l’utenza, è lecito concludere che nel mercato Usa della banda larga di concorrenza non ce n’è abbastanza.
È pur vero che stanno nascendo nel mercato iniziative che un giorno potrebbero essere in grado di intaccare i sostanziali monopoli, o tutt’al più duopoli, che l’utente Usa si trova a fronteggiare: si veda per esempio Google Fiber, o le sperimentazioni di Facebook e Space X per nuove modalità – dai palloni ai droni – di fornitura di banda larga.
Ma questo è, forse, un distante futuro; oggi, la realtà è quella delineata dai dati sopra citati. Non a caso, Wheeler aveva concluso il suo discorso chiedendosi cosa la Fcc dovesse fare dinanzi ad un tale scenario (non) competitivo.
La risposta, indicativa di come Wheeler si pone anche nei confronti della questione della net neutrality, era stata l’enunciazione di quattro principi-guida dell’azione della Fcc. Tali principi prevedevano la protezione della concorrenza laddove già esiste (“ad esempio impedendo che i provider nazionali passino da quattro a tre”), l’incoraggiamento della competizione quando possibile (“facendo sì che Internet non sia frenata da barriere erette da quanti controllano l’ultimo miglio”), la creazione di opportunità competitive (“l’espansione dello spettro non soggetto a licenza crea alternative competitive”) e la promozione diretta del servizio di banda larga laddove non è prevedibile che agisca il mercato (“così da impedire che l’America rurale resti tagliata fuori”). Principi come si vede moderatamente interventisti – non a caso definiti da molti osservatori assai cauti nei confronti dei grandi Isp – e in linea con l’idea di soluzione ibrida che Wheeler intendeva proporre sulla questione della net neutrality. Fintantoché è arrivato, a sparigliare le carte, il pronunciamento di Obama.