Sono state molte le considerazioni che a vario titolo si sono sentite sul Piano del Governo per l’ultrabroadband. Tutte hanno convenuto sulla necessità di recuperare il ritardo italiano, anche se sarà molto difficile raggiungere, nei tempi previsti, gli obiettivi dell’Agenda digitale europea.
Alcune osservazioni critiche invece sono emerse in ordine agli interventi ipotizzati nelle zone in cui c’è concorrenza. Si tratta in effetti di una novità rispetto alle idee circolate prima dell’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi che ha provocato diversi interrogativi. Il tutto collegato al tema della scelta della tecnologia di base con cui si realizzerà materialmente l’infrastruttura in fibra, in particolare tra l’Fttc o l’Ftth. Negli ultimi giorni poi si sono aggiunte le indiscrezioni provenienti da Bruxelles circa i dubbi della Commissione europea sulle misure di sostegno previste dal Piano anche nelle cosiddette zone nere, proprio quelle a maggiore concorrenza. Misure che potrebbero essere in contrasto con la disciplina europea sugli aiuti di Stato.
Sullo sfondo resta infine da capire come sarà la reale fase di attuazione del Piano, non ancora tradotto in specifiche misure legislative, e il grado di sostituzione della nuova rete rispetto a quella di Telecom Italia.
Ciò premesso e riconosciuto comunque al Governo di aver messo in campo il primo serio tentativo in materia, ho l’impressione che il Piano sia troppo orientato a “costruire” piuttosto che a sollecitare la domanda e le condizioni di uno sviluppo in concorrenza nelle zone a maggiore redditività. È vero che la rete di telecomunicazione è un monopolio naturale, ma per le particolari condizioni italiane (privatizzazione Telecom comprensiva della rete – scelta regolatoria europea ed italiana che si è fondata sull’apertura dell’ultimo miglio) esiste il problema di far quadrare l’ingente intervento pubblico con la situazione attuale, almeno nelle aree a maggiore più sviluppate.
Per questo nei prossimi mesi diventerà centrale il ruolo delle Autorità di vigilanza e di regolazione, che c’è da sperare non venga ridimensionato. Il Piano per la verità tratta alcuni incentivi alla domanda, ma questa parte appare debole. Andrebbe, ad esempio, esplorata la possibilità di un intervento specifico che consideri i costi di attivazione sostenuti dagli utenti al pari di quelli deducibili per le ristrutturazioni edilizie e per le riqualificazioni energetiche. Costi di realizzazione deducibili in ragione della realizzazione di un accesso ad un certa quantità di banda (ad esempio 50/100mega) indipendentemente dalla tecnologia utilizzata (cioè in neutralità tecnologica).
La casa si sa è il bene a cui tengono di più gli italiani e dunque al di là delle norme già adottate sugli oneri di urbanizzazione o sui condomini, uno sforzo di incentivazione alla domanda di accesso collegata alla proprietà immobiliare non sarebbe male e soprattutto, nelle aree a maggiore concorrenza, non rischierebbe di ricadere nei divieti sugli aiuti di stato.