Nel mondo bancario nei prossimi anni ci sarà una totale integrazione tra piattaforme fisiche e digitali. Ma servirà anche un forte lavoro delle banche sulle competenze interne del personale». Lo sostiene Stefano Trombetta, Managing Director di Accenture Strategy per Italia, Grecia, Europa dell’Est e Medio Oriente. Secondo una recente ricerca di Accenture, negli ultimissimi anni il mondo bancario ha visto nascere ben 30 nuovi mestieri legati all’online. Una trasformazione, quella 2.0, che nel prossimo futuro sarà trasversale e toccherà non solo le tradizionali aree tecniche ma anche quelle commerciali, legali, di comunicazione e di gestione delle risorse umane. “Proprio per questo – dice Trombetta – occorreranno specifici investimenti nella formazione dei dipendenti, che dovranno acquisire le necessarie competenze informatiche”.
Quanto ci vorrà perché i dipendenti bancari acquistino piena padronanza dei mezzi digitali?
Se è vero, come dichiarano, che l’81% delle aziende nei prossimi due-tre anni prevede di digitalizzare il proprio business, possiamo stimare che nello stesso arco di tempo i lavoratori dovranno colmare le loro lacune tecnologiche. Sarà necessario, pertanto, che investimenti sull’infrastruttura informatica e sulla formazione vadano di pari passo.
Fino a oggi non è stato così?
Penso che negli ultimi anni le banche abbiano messo il digitale al centro della loro agenda. Numerosi investimenti sono stati dedicati in particolare alla digitalizzazione dell’offerta commerciale. C’è stata una risposta concreta alla minaccia dei player dell’Ict, che sono entrati a gamba tesa nel mercato dei pagamenti. Credo che nei prossimi anni assisteremo a un sempre maggiore sviluppo delle piattaforme tecnologiche e dell’innovazione dei modelli di business. Ci sarà una totale integrazione tra piattaforme fisiche e digitali. Ma agire su questo fronte non sarà sufficiente. Le banche dovranno iniziare a lavorare fortemente anche sulle competenze interne del personale.
Che impatti avrà sull’offerta commerciale dei gruppi creditizi la concorrenza dei giganti dell’Ict?
Le banche rispetto ai nuovi competitor dell’Ict, che aggrediscono quote di mercato nel settore delle transazioni a minore valore aggiunto, hanno un vantaggio: la loro rete di vendita e la loro presenza sul territorio. Questa presenza fisica può fare la differenza, se messa in grado di dialogare con i clienti anche tramite canali digitali.
Si dovrà sempre più puntare sulla consulenza, che con il supporto delle tecnologie potrà essere realizzata anche tramite chat, video conference, remote advising. Ad oggi, però, dobbiamo riconoscere che il digitale non riesce ancora a sfondare nel segmento advisory delle banche. È un campo su cui bisogna lavorare.
Come sarà il bancario di domani?
Il bancario digitale dovrà interagire con la clientela in maniera diversa rispetto a oggi, anche in termini di flessibilità oraria, e sarà chiamato a gestire con familiarità qualsiasi canale digitale, dalle chat al social banking fino alle vendita in remoto.
I lavoratori, secondo lei, sono pronti al grande salto?
Secondo una nostra indagine a campione effettuata sui lavoratori di varie industrie tra cui quella bancaria, in Italia il 71% degli impiegati dichiara di aspettarsi impatti positivi sul proprio lavoro dalle nuove tecnologie e il 68% di loro ritiene che, grazie a queste, aumenteranno le prospettive di occupazione. Il 73% dei dipendenti, inoltre, è consapevole di avere delle lacune in termini di competenze digitali e ritiene di adoperarsi in maniera proattiva per imparare i nuovi skill. Quindi non c’è un pregiudizio negativo rispetto all’argomento, ma c’è una grossa disponibilità a ricevere una formazione adeguata.
Eppure le nuove tecnologie inevitabilmente contribuiranno in qualche modo a erodere posti di lavoro…
In realtà tutti i Paesi dove il digitale ha uno sviluppo consolidato registrano tassi di disoccupazione più bassi.
Pensa che lo sviluppo dei canali online nelle banche possa portare a nuove assunzioni di giovani?
Credo che negli anni ci sarà sempre più bisogno dell’ingresso nelle aziende di giovani “nativi digitali”, ossia nati e cresciuti con le nuove tecnologie. In Italia, però, purtroppo il problema dell’alfabetizzazione 2.0 riguarda soprattutto gli under 35, perché chi è in età lavorativa bene o male è già alfabetizzato.
C’è bisogno di una scuola che inserisca, a tutti i livelli, nei propri piani formativi programmi di formazione digitale. Nel futuro sarà, infatti, sempre più essenziale avere competenze statistiche e di gestione dei big data.