“Se a due aziende che operano sullo stesso mercato, una nell’area metropolitana, e una al di fuori, non viene portata la stessa infrastruttura con la stessa capacità, queste non sono in condizioni di ‘fair competition’, non sono in condizioni di parità dal punto di vista competitivo. Dietro all’idea di assicurare la rete di nuova generazione, anche nelle parti del Paese dove gli operatori non investono spontaneamente, c’è la scelta di garantire parità di concorrenza alle imprese e agli studi professionali che operano in queste aree”. Così il presidente di Open Fiber, Franco Bassanini, sottolinea l’importanza di avere pari qualità infrastrutturale distribuita nel Paese, anche nelle aree cosiddette a fallimento di mercato.
Proseguendo l’audizione iniziata ieri in Commissione Lavori pubblici e industria del Senato, incentrata sui recenti sviluppi del piano di realizzazione della banda larga e ultralarga, il presidente spiega che “è importante dal punto di vista della competizione, del mercato e della crescita del Paese, garantire che le aree interne non si spopolino e favorire anche lì i processi di modernizzazione”.
La rete in fibra, ricorda Bassanini, ha un “rischio di guasti o di interruzioni molto inferiore alla rete in rame” e quindi per chi lavora sulla rete o sposta sulla rete tutti i suoi documenti “diventa molto importante l’affidabilità, la certezza che si è in grado di restare collegati con i clienti, senza il rischio che magari per uno o due giorni si interrompa tutto”.
Riguardo gli investimenti sulla banda larga nelle aree a fallimento di mercato, oggetto di diversi botta e risposta fra il Governo e Tim negli ultimi giorni e in particolare ieri fra il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda e l’Ad del gruppo Flavio Cattaneo, l’esecutivo ha fatto secondo Bassanini la “scelta di prevedere un piano, attraverso risorse pubbliche, fondi europei sostanzialmente, di costruzione di una infrastruttura di rete pubblica di nuova generazione per la maggior parte in fibra ottica. L’idea è che la connettività di nuova generazione rappresenti una sorta di servizio universale, di diritto universale”.
Gli sviluppi recenti del piano di realizzazione della banda larga e ultralarga, come la vittoria del primo e probabilmente anche del secondo bando Infratel da parte di Open Fiber, ha secondo Bassaini “dal punto di vista dell’interesse generale, non dal punto di vista di un’azienda o di un’altra, stimolato a investire anche l’incumbent (Telecom, ndr), cioè l’impresa che è in posizione dominante e che tradizionalmente era l’impresa della rete di telecomunicazioni in Italia”. Uno stimolo che “dal punto di vista dell’interesse generale è sicuramente utile”.
In uno scenario che si è animato in modo particolare nelle ultime settimane, facendo venire a galla il nodo delle aree grigie, la decisione di Telecom di investire sulla banda larga nelle zone a fallimento di mercato, sottolinea Bassanini, “dipende dal fatto che per la prima volta c’è una sfida competitiva. C’era Metroweb, ma era limitata geograficamente, e in qualche modo c’era stato da parte di Telecom l’idea di dire ‘vabbè, a Milano c’è Metroweb’. Con Open Fiber c’è ora un progetto per tutto il Paese e questo ha contribuito a produrre questa accelerazione degli investimenti”.
Dopo la richiesta di Telecom il Governo e il Mise hanno deciso di rivedere il piano previsto dal bando di gara e questo potrebbe cambiare le carte in tavola anche a Open Fiber: “Se cambiano le perimetrazioni delle aree dove portare l’infrastruttura permettendo a qualcuno di scegliere fior da fiore le aree più remunerative evidentemente dovremo riformulare il piano economico per costruire l’infrastruttura pubblica e garantirla a tutti”.
Il presidente della joint venture fra Enel e Cdp prevede anche nuovi scenari di mercato per gli operatori di telecomunicazioni che, prevede, arriveranno in futuro a distribuire i programmi televisivi: “In altri Paesi avanzati come l’Italia la concorrenza infrastrutturale, almeno nelle aree del Paese più popolate e sviluppate, c’è. Nel senso che c’è una concorrenza tra la rete di telecomunicazioni tradizionale, come negli Stati Uniti dove Verizon e AT&T che si spartiscono il territorio. In Italia le reti cavo non ci sono, per il momento il mercato della distribuzione dei programmi televisivi avviene attraverso il satellite e il digitale terrestre. Però – sostiene Bassanini – è prevedibile, anche perché c’è la previsione della revisione dello spettro delle frequenze e la cessione di frequenze agli operatori di telecomunicazioni mobili, c’è la scadenza del 2022. Probabile che anche in Italia nel giro dei prossimi anni i programmi televisivi vengano distribuiti sulle reti di telecomunicazioni fisse”. Il piano di Open Fiber, riepiloga Bassanini, “comprende la copertura di 281 città nei cluster A e B, più la nostra quota di investimento nella prima gara del cluster C, quella di cui siamo risultati assegnatari e concessionari”.
Dopo Bassanini riprende la parola l’Ad Tommaso Pompei, intervenuto anche nella giornata di ieri in audizione. “Il nostro piano è stato approvato ad aprile, e quindi da aprile è partito questo round di finanziamento. Siccome è un progetto molto grande, stiamo parlando di uno dei più grandi project financing che ci sono in Europa, più di 3 miliardi di investimenti, è chiaro che l’iter di sviluppo ha dei tempi che sono assolutamente fisiologici. Avendo fatto project financing di questa natura, e di questo importo, solitamente ci vuole un anno”.
Si prevede che il piano di Open Fiber, spiega Pompei, “venga finanziato per il 70% a debito, quindi con project financing, e per il 30% ad equity, quindi con il supporto degli azionisti. La Banca europea degli investimenti ha reso pubblico che, nell’ambito degli interventi previsti dal Piano Juncker, è previsto un intervento a favore di questa iniziativa, di Open Fiber, pari a 500 milioni, come mix di garanzie e liquidità. Lo stesso ha fatto per Telecom Italia – sottolinea Pompei -. Alcune banche hanno già dichiarato la loro disponibilità a finanziare il piano. Siamo in contatto con 15-16 banche che volevano intervenire in questa operazione. Si tratta delle maggiori banche americane, europee e italiane”.