Il mercato italiano dei Big Data Analytics è dinamico e sempre più maturo, con imprese che mostrano un livello avanzato di utilizzo delle tecnologie, sperimentazioni complesse e competenze di Data Science, affiancate da altre che, pur in ritardo, si stanno attivando aumentando gli investimenti e puntando su progetti di integrazione dei dati. Nel 2019 il mercato Analytics raggiunge un valore di 1,7 miliardi di euro, in crescita del 23% rispetto allo scorso anno, oltre il doppio rispetto al 2015 (790 milioni), da cui è cresciuto con un tasso medio annuo del 21,3%.
La principale voce di spesa in Analytics sono i software (47%). Nei software gli strumenti per la visualizzazione e analisi dei dati pesano per il 53%, mentre il restante 47% è costituito da strumenti di ingestion dei dati, integrazione, preparazione e governance. Il 20% degli investimenti è dedicato a risorse infrastrutturali, i sistemi per abilitare gli Analytics e fornire capacità di calcolo e storage ai sistemi aziendali, primo fra tutti il cloud. Il 33% della spesa è destinato a servizi per la personalizzazione del software, l’integrazione con i sistemi aziendali e la consulenza per la riprogettazione dei processi. Tra i settori, le banche sono il primo posto per quote di mercato con il 28% della spesa, seguite da manifatturiero (24%), telco e media (14%), servizi, Gdo e retail (8%), assicurazioni (6%), utility (6%) e Pa e sanità (5%).
Resta però evidente il divario fra le imprese di grandi dimensioni e le Pmi in termini di investimenti e competenze di Data Science. Il 93% delle grandi imprese investe in progetti di Analytics, contro il 62% delle Pmi. Ad una maggiore spesa corrisponde una più elevata esigenza di profili in grado di gestire i progetti: i più diffusi nelle grandi imprese sono il Data Analyst, il Data Engineer e il Data Scientist. Meno di una Pmi su quattro, invece, ha introdotto almeno un Data Analyst.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano presentata questa mattina al convegno “Strategic Data Science: time to grow up!”. La ricerca ha coinvolto attraverso una survey oltre mille Cio, Responsabili Innovazione e Responsabili Analytics di organizzazioni utilizzatrici di piccole, medie e grandi dimensioni ed executive delle principali aziende operanti nel mercato dell’offerta.
“Il mercato Analytics in Italia non conosce crisi e nel 2019 raggiunge quota 1,7 miliardi di euro, con un incremento del 23% rispetto al 2018”, afferma in una nota Carlo Vercellis, responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence. “Le organizzazioni più mature hanno già internalizzato le necessarie competenze e stanno intraprendendo un percorso di sperimentazioni crescenti e di maggiore complessità, che ora li vede impegnate nella sfida di governare i progetti dal punto di vista organizzativo e cambiare i processi in ottica data-driven. Le aziende neofite dei Big Data, nel frattempo, iniziano a concretizzare le prime iniziative, prevalentemente con il supporto di competenze esterne. Tra le piccole e medie imprese, si registra un crescente interesse verso il tema e nuovi investimenti, seppur in uno scenario di complessivo ritardo dal punto di vista delle competenze. Il tema del recruiting di figure professionali dedicate è ancora molto sentito dalle aziende. Anche per questo, la School of Management del Politecnico di Milano è stata tra i primi attori ad attivare un Master internazionale su questi temi (International Master in Business Analytics And Big Data), che nell’arco di quattro anni ha formato più di 160 Data Scientist provenienti da tutto il mondo”.
“Storicamente, il freno principale dichiarato dalle aziende all’implementazione di progetti di Analytics è stata la mancanza di competenze e figure organizzative interne, accentuato dalle difficoltà a reperirle all’esterno”, spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence. “Nel 2019, però, una grande impresa su due ha già inserito almeno un Data Scientist, le aziende che hanno già da tempo introdotto figure di questo tipo ne hanno incrementato il numero e una su tre lo ha addirittura raddoppiato. Grazie a questi profili, oggi riescono a elaborare progetti più complessi dedicati a machine learning, dati non strutturati, analisi in tempo reali”.
Il gap di competenze tra le grandi imprese e le Pmi
Gli Analytics sono ormai un ambito conosciuto e prioritario per le grandi aziende. Come detto, il 93% sta investendo in Analytics, soprattutto in progetti di analisi dei dati (circa l’80%, di cui più della metà in iniziative di Advanced Analytics), in infrastrutture per aumentare il livello di integrazione dei dati (62%) e in azioni per migliorarne la qualità (54%). Segue l’inserimento in organico di nuove competenze (47%), stabile sia tra le aziende che non hanno al momento risorse dedicate sia tra coloro che ne hanno già sperimentato l’impatto e sono intenzionate ad aumentarne la numerosità. Di minor interesse, invece, la formazione di base sull’analisi dei dati (27%), la creazione di una struttura organizzativa dedicata (24%) e gli investimenti tecnologici per migliorare la fruizione dei dati per una platea più ampia (22%). L’analisi dell’Osservatorio sul percorso di ideazione, sviluppo e implementazione dei progetti di Advanced Analytics nel triennio 2017-2019 mostra come sia in aumento il numero di proof of concept.
Anche le Pmi si stanno muovendo, seppur più lentamente: nel 62% dei casi hanno fatto investimenti nel 2019, concentrati soprattutto nell’integrazione dei dati interni (80%), nella formazione di base sull’analisi dei dati per risorse già presenti in azienda (66%), nell’integrazione di dati da fonti esterne (57%) e nello sviluppo di progetti di analisi predittiva (quattro su dieci, +10%). Gli obiettivi principali degli investimenti sono l’ottimizzazione della supply chain, in particolare in ambito manifatturiero, l’analisi dell’ambiente competitivo e la necessità di aumentare l’efficacia delle campagne di marketing. Tra le aziende che hanno portato avanti progetti di questo tipo, i risultati sono percepiti altamente innovativi nel 29% dei casi. Se però si sposta l’analisi sulle competenze, si allarga la distanza dalle grandi imprese: soltanto il 16% delle Pmi ha al suo interno almeno un Data Scientist e il 23% almeno un Data Analyst. Non molto distanti i numeri delle sole medie imprese, in cui il Data Analyst è presente in un’azienda su tre. Nelle aziende che hanno assunto profili di Data Science i risultati dei progetti vengono percepiti come molto innovativi nel 40% dei casi, contro il 21% delle imprese che utilizzano solo collaboratori esterni.
Uno sguardo sui profili in ambito Data Science
La figura professionale più diffusa nelle grandi aziende è il Data Analyst, che si trova nel 76% delle grandi aziende, in crescita del 20% rispetto al 2018. Gli altri profili con l’incremento più significativo sono il Data Visualization Expert, presenti nel 21% delle grandi imprese (+12%), il Data Engineer, inserito in oltre un’azienda su due (51%, +9%), e il Data Scientist (49%, +3%). Tra le realtà che non hanno ancora introdotto questi profili, una su tre dichiara di voler assumere un Data Scientist entro il 2020, il 31% un Data Analyst, il 17% un Data Engineer e l’11% un Data Visualization Expert. La diffusione del Data Scientist, dopo il picco raggiunto nel 2017, ha subito un rallentamento (solo +6% dal 2017 al 2019), ma fra il 49% di grandi imprese che ha introdotto questa figura nel 2019 tutte ne hanno aumentato il numero rispetto all’anno precedente e circa una su tre lo ha raddoppiato. Per queste aziende è più facile reperire altri profili di Data Science sul mercato, mentre si trovano più in difficoltà quelle imprese che non ne sono ancora dotate.
La crescente complessità dei dati utilizzati nei progetti di Analytics pone le imprese davanti alla sfida della Data Governance, ossia la responsabilità su tutto ciò che riguarda i dati aziendali: ben il 50% non ha ancora identificato figure dedicate (nel 39% dei casi sono i ruoli It a occuparsene parzialmente), il 18% prevede la presenza di figure di controllo sui dati in tutte le funzioni aziendali, il 29% ha scelto un unico profilo responsabile che coordina i ruoli presenti all’interno delle singole aree di business, mentre solo il 3% ha formalizzato una struttura dedicata con responsabilità ben definite.