Prendere le decisioni giuste. Limitare il margine di incertezza degli accadimenti futuri. Ridurre i costi snellendo i processi produttivi e allocando le risorse nella maniera più efficiente possibile. Sono solo alcuni dei benefici ricavabili nei più svariati settori – dalla sanità alla finanza, dai trasporti alle telecomunicazioni – dall’uso massiccio di grandi banche dati a scopo predittivo secondo gli organizzatori dell’evento The Human Face of Big Data (http://thehumanfaceofbigdata.com/), tenutosi oggi in contemporanea a Londra, New York e Singapore. Principale promotore dell’iniziativa è il fotografo americano Rick Smolan, ex firma di National Geographic e Time, celebre per le sue opere grande respiro come la serie di libri Day in the Life.
The Human Face of Big Data è infatti prima di tutto un libro di immagini. Scatti spettacolari, pensati per far riflettere il lettore sull’impatto di quello che l’analista di dati Jake Porkway, fra i relatori dell’evento, ha definito “un cambiamento fondamentale nel modo in cui avviene il progresso”. Dagli elefanti marini dotati di antenne per mappare gli oceani ai sistemi di Sms che prevengono la vendita di medicinali contraffatti, dagli smartphone che scoprono la predisposizione dell’utente a diverse malattie alle carte di credito in grado di prevedere il tenore di vita di un nucleo famigliare nei successivi due anni, il fotografo, con l’aiuto di 150 collaboratori sparsi per il mondo, ha voluto offrire una panoramica quanto più possibile completa ed esauriente di benefici e difetti del mondo dei Big Data.
Al London Film Museum, dove si è svolta la presentazione per la stampa europea, Smolan impegnato nel lancio nella madrepatria, non c’era.
Erano presenti invece diversi manager della multinazionale Emc, impegnata nell’offerta di soluzioni per cloud computing e big data, che ha aiutato Smolan a concretizzare la sua nuova ossessione. Sotto forma di libro cartaceo e non solo; in sintonia col tema che lo ha ispirato, The Human Face of Big Data (Hfobd) ha un risvolto tecnologico e multimediale. A partire dallo scorso 25 settembre gli internauti di tutto il mondo hanno potuto scaricare un’applicazione per smartphone Android (la versione per iOs ha subito dei ritardi) tramite cui inviare dati sulle loro abitudini: per ognuno dei primi 50.000 download è corrisposto da parte di Emc il versamento di un dollaro nelle casse dell’associazione no profit Charity Water.
A oggi sono più di centomila gli utenti che hanno deciso di installare il software, programmato sia per raccogliere informazioni in maniera passiva – accedendo, mettiamo, ai parametri di geolocalizzazione, ottenuti tramite il Gps o al numero di messaggi spediti – che attiva, ossia ponendo delle domande provocatorie, congegnate per sondare la personalità della persona che risponde (un esempio: “Se poteste modificare una, e una sola, caratteristica del Dna del vostro futuro bimbo quale scegliereste, fra aspetto, intelligenza e longevità?”). Tutte le risposte e tutti i dettagli forniti verranno poi resi anonimi e custoditi nel “cloud” per essere analizzati, scoprendo così gusti e tendenze di un campione significativo della popolazione mondiale.
Per Emc è il modo di sensibilizzare il maggior numero di persone possibile sull’importanza e il valore dell’industria dei dati. È vero che un rapporto di Nucleus Research del marzo 2012, “The Big Return from Big Data”, stima in un + 241 % – in media nei vari settori industriali – il ritorno sugli investimenti che potrebbe derivare dall’analisi di grandi e complessi dataset. Ma è altrettanto vero che, come ha spiegato Dave Menninger, responsabile dello sviluppo strategico di Greenplum (la divisione di Emc che si occupa di questi temi),“gli ostacoli a un utilizzo serio e massiccio dei Big Data derivano in primis dalla riluttanza da parte di molte organizzazioni ad adottare un approccio trasparente, collaborativo e decentralizzato ai dati”. Questi ultimi sono ancora spesso visti come una risorsa da custodire gelosamente e solo pochi comprendono che acquistano valore solo se vengono rivoltati e analizzati da ogni lato, in modo da ricavarne un senso.
“Ci sono ancora molte barriere – conferma il presidente per l’Europa, l’Africa e il Medio Oriente di Emc Adrian McDonald – come in altri settori del marketing c’è un 2% di visionari, un 20% di early adopters e una restante percentuale di persone difficili da smuovere”. Un altro problema è che mancano i data scientist, ovvero coloro che dovrebbero occuparsi di trasformare questa immensa quantità di dati in informazioni. “Stiamo cercando di incoraggiare le università – prosegue McDonald – a formare questo tipo di figure e ad adottare quello di scienza dei dati come corso di laurea. Forniamo borse di studio, aiutiamo a scrivere i programmi e così via. Oggi una figura di questo tipo può guadagnare tranquillamente 200.000 dollari l’anno: in un mondo in cui la disoccupazione è uno dei maggiori problemi è un’eccezione positiva”.
Tutto molto accattivante, ma la crescente disponibilità di ingenti quantità di informazioni, ricavate dagli smartphone, dai social network, dalle carte di credito e dai sensori incorporati in vari prodotti ha anche un lato oscuro. Nelle mani di governi o di privati senza scrupoli possono dar vita a un Grande Fratello tanto più insidioso, quanto più invisibile e pervasivo. Chiediamo perciò a McDonald: “non siete preoccupati dei possibili usi impropri questa eccessiva quantità di informazioni?”. “Come presidente di una compagnia It e come cittadino del mondo – è la risposta – certo che lo sono; ma dal mio punto di vista, più aperto e trasparente è il dibattito su questo argomento, più ne sono conosciuti i rischi, meglio è. E in ogni caso ci sono altre divisioni di Emc che si occupano dei problemi della sicurezza e della privacy”. Come dire: comunque vada, noi cadiamo in piedi.