L’ANALISI

Big tech, in fumo 310mila posti di lavoro. “Inevitabile per sostenibilità del business”

Kevin Kruczynski, Investment Manager di Gam Investments, fa il punto su quanto accaduto nell’ultimo anno e su come si è arrivati all’ondata di licenziamenti. “Le società ora sono più solide dal punto di vista economico. In futuro, con il passaggio all’era dell’intelligenza artificiale e dell’automazione, le potenzialità di una migliore efficienza e produttività saranno immense”

Pubblicato il 15 Mag 2023

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L’ondata di licenziamenti nei colossi tecnologici americani ha una sua intrinseca necessità: la sostenibilità aziendale delle big tech. Secondo Layoffs.fyi, dal primo trimestre del 2022 sono stati eliminati 310.000 posti di lavoro in campo tecnologico, dove le imprese – complice anche l’aumento dei tassi di interesse – sono diventate più consapevoli dei costi. Come osserva Kevin Kruczynski, Investment manager di Gam Investments, in un report focalizzato sui licenziamenti nel settore tecnologico, negli ultimi dieci anni, società come Amazon, Facebook e Google sono cresciute a ritmi esponenziali, con margini elevati che consentivano di assumere a livelli massicci.

Nel 2012 la forza lavoro di Amazon era inferiore ai 100.000 dipendenti, ma, a fine 2022, aveva superato quota 1,5 milioni, ovvero più personale di FedEx, Ups e il servizio postale degli Stati Uniti messi insieme (poco meno di 1,4 milioni di dipendenti). Tra il 2012 e la fine del 2022 il personale di Meta è passato da meno di 5.000 unità a oltre 85.000. Ciò che inizialmente sembrava una strategia mirata a coltivare l’innovazione e il pensiero creativo alla fine si è trasformata in costi esorbitanti e le big tech hanno dovuto rivedere le loro strategie.

Big tech troppo “tentacolari”

Nello scorso decennio le big tech “sono cresciute a tutto gas”, grazie a una domanda sottostante assai robusta per prodotti e servizi rivoluzionari che sono entrati sui mercati esistenti o hanno creato nuovi mercati, ma anche grazie ai bassi tassi di interesse che hanno messo a disposizione abbondanti capitali e a un bacino di investitori che ha incoraggiato le imprese a dare priorità alla crescita dei ricavi rispetto alla redditività. “In tale scenario non sorprende che il capitale sia stato spesso investito nei segmenti sbagliati e le aziende con attività core estremamente redditizie hanno iniziato a spostare sempre più risorse verso progetti che avrebbero potuto aprire nuovi canali di crescita”, nota Kruczynski.

Alphabet, per esempio, ha puntato sulle auto a guida autonoma, sui droni per le consegne, sui termostati intelligenti, su Google Glass e gli occhiali smart – tutti progetti che hanno attinto ai flussi di cassa derivanti dall’attività pubblicitaria estremamente redditizia di Google. Amazon, a sua volta, ha deciso di utilizzare gli utili della divisione cloud Aws in altre aree, tra cui la logistica, i punti vendita e i servizi sanitari. Dopo i successi di Facebook, Messenger, WhatsApp e Instagram, Meta ha investito miliardi di dollari nello sviluppo di un proprio metaverso.

Assunzioni “insostenibili”

Di fronte a questa espansione programmata, le big tech hanno teso ad assumere in anticipo nell’assunzione di personale rispetto all’effettiva domanda: una ricercatrice di personale incaricata da Meta dichiara di aver ricevuto 190.000 dollari in un anno senza fare nulla, riporta Kruczynski. Un ex dipendente di Meta, assunto ad aprile 2022, ha raccontato: “Facevano la raccolta di personale come se fossero carte Pokemon”.

Molte società del settore, prosegue l’analista, “si vantano di avere relativamente pochi beni reali ma margini elevati; dunque, è stato interessante assistere all’incremento esponenziale del personale nell’ultimo decennio. L’aumento del numero dei dipendenti veniva visto come un marchio di successo, le aziende erano disposte a offrire benefit sempre più generosi per attirare personale. I dipendenti avevano i trasporti pubblici pagati, pasti gratis in ufficio e baristi che servivano fiumi di caffè. E poi c’era il centro benessere sotto all’ufficio, i massaggi, il servizio lavanderia, la palestra, i concerti dal vivo e così via… molto più che un semplice tavolo da ping-pong o la console per i video giochi. Ciò che inizialmente sembrava una strategia mirata a coltivare l’innovazione e il pensiero creativo alla fine si è trasformata in costi eccessivamente alti e nella presunzione che tutto ciò fosse dovuto”.

Il Covid ha “falsato” il mercato

La pandemia da Covid, sottolinea l’analista, “ha esacerbato tali dinamiche poiché le persone in lockdown dovevano lavorare da remoto, modificando le abitudini di consumo; ciò ha prodotto una domanda eccezionalmente alta di tecnologia. Molte imprese hanno erroneamente interpretato il fenomeno come un cambiamento duraturo delle tendenze di crescita e, di conseguenza, hanno aumentato gli investimenti in infrastrutture digitali, data center e personale. Nel frattempo, anche le valutazioni delle big tech sono salite grazie ai bassi tassi di interesse che hanno fatto diminuire i tassi di sconto e i premi per il rischio azionario, incoraggiando ulteriormente le aziende a investire”.

Con la fine dei lockdown legati al Covid, la domanda ha incominciato a normalizzarsi ma le pressioni inflazionistiche hanno contagiato l’intera economia. Le banche centrali hanno pertanto reputato necessario alzare in misura significativa i tassi di interesse. L’inflazione è stata esacerbata ulteriormente dal conflitto in Ucraina che ha causato la carenza di molte materie prime.

“Di conseguenza, l’anno scorso abbiamo assistito a una rapidissima risalita dei tassi di interesse, come non si vedeva da decenni, che ha cambiato radicalmente l’atmosfera nei mercati finanziari. Ora che i tassi di crescita si sono normalizzati e le valutazioni sono scese, gli investitori preferiscono le aziende che puntano sulla crescita degli utili piuttosto che sulle vendite”, scrive l’analista.

Un futuro positivo con l’Ai

Le imprese, rileva Kruczynski, “hanno rivisto le loro strategie e ora sono più consapevoli dei costi “. I prezzi azionari “hanno reagito al cambiamento di priorità in modo generalmente positivo; infatti, le società ora sono più solide dal punto di vista economico. In futuro, con il passaggio all’era dell’intelligenza artificiale e dell’automazione, le potenzialità di una migliore efficienza e produttività sono immense. Stiamo analizzando attentamente le imprese che, a nostro giudizio, sono in grado di adottare modalità di lavoro innovative per incrementare la produttività e l’utile, senza perdere di vista una crescita sostenibile, e le società che forniscono loro gli strumenti per raggiungere tali obiettivi”.

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