Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, rilancia sulla digital tax. E lo fa in coccasione della sua comunicazioni al Senato in vista del vertice Ue sul bilancio che si terrà domani.
“Crediamo che sia necessario introdurre nuove forme di finanziamento capaci di assicurare il giusto contributo al benessere collettivo da parte delle grandi imprese del settore digitale, di chi sfrutta le differenze di tassazione negli Stati membri per evitare parte delle imposte, degli speculatori finanziari, dei grandi inquinatori – ha spiegato – Questo può avvenire, ad esempio attraverso l’istituzione della nuova Border Carbon Tax. Finalmente la proposta di Michel offre un’apertura condizionata a questa richiesta fondamentale, che mira a evitare ulteriori aggravi degli sforzi già richiesti ai cittadini europei e chiede a tutti i beneficiari dell’Unione di contribuire ai benefici che traggono dal Mercato unico”.
“Dopo tanta insistenza – ha rimarcato il capo del Governo – ritroviamo, nella proposta del presidente del Consiglio europeo, la possibilità di intervenire, anche dopo il 2021 ma comunque nel corso del prossimo settennato, per istituire nuove risorse proprie europee, quando saranno adottate quelle regole comuni a cui stiamo lavorando intensamente e che sono volte, al contempo, a tutelare il Mercato unico dalla concorrenza di imprese di Paesi terzi con una normativa ambientale meno severa della nostra e ad affrontare il problema del dumping fiscale, anche interno ai confini dell’Unione, per non tacere del dumping sociale”.
La mossa della Spagna
Il governo spagnolo guidato da Pedro Sancheza ha approvato la regolamentazione sulla tassazione sui guadagni delle grandi aziende che operano sul Web, ma attenderà la fine dell’anno, come la Francia, in attesa di un possibile accordo a livello Ocse. “La Spagna non può permettersi di avere un sistema fiscale ancorato al secolo scorso – ha spiegato il ministro delle Finanze, Maria Jesus Montero – Bisogna avanzare verso una fiscalità adatta al XXI secolo che tenga contro delle nuove forme di attivita. La tassa cercherà di evitare la concorrenza sleale contro le imprese tradizionali”.
Il progetto di legge era stato adottato all’inizio del 2019 dal governo di Pedro Sanchez, ma il leader socialista aveva poi convocato le elezioni legislative a seguito delle quali ha formato un grande Governo di coalizione con Podemos. Madrid tasserà con un’imposta del 3% i ricavi generati da alcuni business, come quello della pubblicità su Internet, delle vendita online e delle vendite di dati.
La riforma dell’Ocse
La riforma della tassazione sugli utili dei colossi multinazionali, in particolare del settore digitale, proposta dall’Ocse, potrebbe generare nel suo insieme fino al 4% in piu’ di entrate da imposte, pari a 100 miliardi di dollari l’anno. Le stime sono della stessa organizzazione, secondo cui gli introiti supplementari sarebbero simili per i Paesi ad alto, medio e basso reddito quale quota delle entrate da tasse sulle imprese.
Secondo gli economisti dell’Ocse, riducendo i differenziali di aliquota tra le giurisdizioni, la riforma dovrebbe portare a una significativa riduzione del trasferimento degli utili da parte delle multinazionali nei paradisi fiscali. Più della metà degli utili riallocati verrebbero da 100 grandi gruppi multinazionali.
L’analisi è stata diffusa sulla scia dell’accordo raggiunto a fine gennaio in sede Ocse da 137 Paesi – impegnati da anni nelle trattative sulla tassazione delle multinazionali e in particolare sul tema della webtax – di arrivare a un’intesa entro la fine del 2020, anche se l’approccio degli Stati Uniti potrebbe ostacolare il risultato del negoziato.
Gli Usa infatti hanno proposto di introdurre nell’accordo una condizione, definita “safe harbour”, che potrebbe portare al principio di opzionalità della tassazione, permettendo quindi ai colossi digitali di non sottoporsi alla nuova tassa.
La riforma a cui sta lavorando l’Ocse si basa su due pilastri: il primo mira a distribuire il diritto di imposizione sulle società non solo in funzione della presenza fisica delle società sui territori nazionali, ma in base all’attività che realizzano in tali territori. Questo permetterebbe a numerosi Stati di tassare i giganti della rete, come Google, Amazon, Facebook e Apple.
Il secondo pilastro consiste invece nel fissare un livello minimo di imposizione pari al 12,5% per ridurre la concorrenza fiscale tra Stati ed evitare il “trasloco” degli utili societari presso filiali in Paesi con bassa tassazione.
La riforma porterebbe a una “significativa riduzione” del profit shifting verso paradisi fiscali o comunque Paesi accomodanti sul tema della tassazione. Se non si raggiungerà una soluzione basata sul consenso – avverte l’Organizzazione – si arriverebbe a nuove misure unilaterali e a una maggiore incertezza e anche a tensioni commerciali.
Le riforme determinerebbero un piccolo aumento degli introiti da tassazione per la maggior parte delle economie, ma sarebbero i Paesi a basso e medio reddito, che finora hanno risentito maggiormente del prift shifting, a guadagnare relativamente di più . I cosiddetti “hub” di investimenti – sono i Paesi in cui le web company hanno sede fiscale pur non realizzando lì la maggior parte delle attività – “subirebbero una perdita moderata di introiti fiscali”.
Le prossime tappe dell’iter del negoziato sulla tassazione delle multinazionali, che in sostanza riguarda in primis la web tax, sarà il summit dei ministri delle Finanze del G20 a Riyad il 22-23 febbraio. Il primo e il due luglio ci sarà una riunione a Berlino sotto l’egida dell’Ocse, cui seguirà un altro summit del G20 il 18-19 luglio sempre a Riyad. Per il 21-22 novembre è invece in agenda il summit dei leader del G20, appuntamento che sarà essenziale per la sigla di un accordo.