IL DIBATTITO

Bitcoin, arrivano gli “smart contracts”: basteranno per evitare l’illegalità?

Molte aziende già hanno investito nella nuova tecnologia: elimina il notaio e semplifica accordi e transazioni. Ma uno studio americano passa in rassegna i possibili usi criminali dei nuovi contratti basati su software e crittografia

Pubblicato il 14 Ago 2015

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I Bitcoin potrebbero avere un nuovo “lato oscuro”: non solo abilitano pagamenti difficili da tracciare (tanto che le organizzazioni criminali sono state tra gli early adopters della più nota moneta digitale) ma ora, grazie a un’ulteriore evoluzione tecnologica, potrebbero facilitare ancora più attività illecite.

L’innovazione tecnologica in questione è quella degli “smart contracts“—piccoli programmi informatici che possono svolgere operazioni come scambi finanziari o registrazione dei documenti all’interno di un atto legale. Questi contratti intelligenti, interamente formalizzati da un software, si concludono automaticamente al verificarsi delle condizioni prestabilite: una volta definiti i i termini del contratto, il sistema in automatico si prende cura di eseguirlo quando si verificano le condizioni pattuite.

Gli investitori del mondo hitech la considerano una tecnologia utile perché può essere usata al posto di avvocati e notai in carne ed ossa per rendere validi accordi e contratti; il software è in grado anche di verificare le informazioni e usare fondi sfruttando gli stessi sistemi di crittografia che sono alla base dei Bitcoin. Ma un professore dello Jacobs Technion-Cornell Institute della Cornell Tech esperto di crittografia, Ari Juels, ha condotto uno studio che ha dimostrato come gli “smart contracts” possono diventare una nuova potente arma per le attività illegali.

Insieme alla collega Elaine Shi e al ricercatore della University of Maryland Ahmed Kosba, Juels ha passato in rassegna tutti i possibili utilizzi criminali dei contratti smart. Per esempio, un contratto di questo genere può essere usato per offrire criptovaluta come compenso per condurre un attacco hacker contro un certo sito web. In pratica, verrebbe stilato un “contratto di assunzione” per uno specifico “lavoro”: lo “smart contract“” indicherebbe i compiti da svolgere e la paga ma anche consentirebbe all’hacker di fornire prova del raggiungimento dell’obiettivo, prerequisito per essere ricompensato.

In un’altra ipotesi studiata dai ricercatori, uno “smart contract” può essere usato per rassumere un killer di un personaggio pubblico. Nel contratto si indicherebbero giorno, ora, modi dell’operazione, e il relativo compenso. Come nel precedente esempio, il pagamento verrebbe autorizzato solo al raggiungimento dell’obiettivo, verificato dal software dopo che una selezione di fonti di news online hanno pubblicato la notizia dell’avvenuto omicidio.

Sono tanti i crimini che si possono commissionare e pagare con gli “smart contracts“, aggiugno i ricercatori. “Siamo ottimisti sulle applicazioni vantaggiose e lecite, ma occorre tenere conto degli utilizzi a scopo criminale”, sottolinea la professoressa Shi.

Nicolas Christin, assistente alla Carnegie Mellon University esperto di Bitcoin, nota che comunque la quantità di azioni criminali condotte grazie ai Bitcoin e, in futuro, agli “smart contracts” resta una piccola parte rispetto alle attività positive che queste tecnologie consentono. Tanto più che gli “smart contracts” sono più complessi da usare delle transazioni in Bitcoin.

Così diverse aziende già sono pronte ad abbracciare i contratti intelligenti perché, dicono, renderanno i mercati finanziari più efficienti e semplificheranno le transazioni più complesse, come gli atti di vendita. Tra le società attive nel settore c’è Ethereum, piattaforma per “smart contracts” che i ricercatori guidati dal Professor Juels hanno usato per il loro studio. Gavin Wood, chief technology officer di Ethereum, osserva che sono tante le attività legittime che potranno poggiarsi su questa tecnologia, pur riconoscendo che è possibile che i criminali la usino per infrangere la legge.

Ma non solo: criptovaluta e contratti smart potrebbero scardinare sistemi esistenti e sfidare norme e regole vigenti: per esempio, il software di Ethereum potrebbe essere sfruttato per creare una versione decentralizzata di servizi come Uber, cioè senza bisogno che ci sia un’azienda che faccia da raccordo centrale gestendo applicazioni e pagamenti. “Se i regolatori hanno difficoltà a inquadrare Uber oggi, pensiamo a che cosa succederebbe se il sistema non facesse nemmeno più parte di un’azienda centralizzata”, nota Wood. “In teoria si può implementare qualunque servizio web senza che ci sia un’entità legale dietro. Sarebbe una cosa impossibile da far ricadere nelle attuali leggi”.

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