Il Bitcoin infrange la barriera dei 100mila dollari. È la prima volta che la criptovaluta per antonomasia raggiunge questa pietra miliare. Un record assoluto, frutto di un exploit delle quotazioni, che in poche settimane sono cresciute del 46%(il 5 novembre, giorno delle elezioni presidenziali negli Usa, il Bitcoin quotava intorno ai 69mila dollari). Basti pensare che solo nelle contrattazioni di ieri il Bitcoin ha guadagnato il 4,1%, raggiungendo i 101.891 dollari, per fare poi un ulteriore balzo nella notte a 103.800 dollari. Bene anche Dogeoin (+4%) e Solana (+1,2%). In controtendenza Binance Coin (-2,2%).
Il rally delle monete virtuali dipende essenzialmente dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi, e dalla decisione di nominare Paul Atkins alla guida della Securities and exchange commission (Sec), l’autorità per i titoli e gli scambi degli Stati Uniti. Atkins è dichiaratamente un sostenitore delle criptovalute e delle società fintech.
La svolta di Trump e la nomina di Atkins
Trump, un tempo scettico nei confronti delle criptovalute, si è impegnato a rendere gli Stati Uniti “la capitale crittografica del pianeta” e a creare una “riserva strategica” di Bitcoin. La sua campagna elettorale ha accettato donazioni in criptovaluta e ha corteggiato i fan a una conferenza sul Bitcoin a luglio. Ha anche lanciato World Liberty Financial, una nuova impresa gestita dai membri della famiglia per il commercio di criptovalute.
Gli operatori del settore delle criptovalute hanno quindi accolto con favore la vittoria di Trump, nella speranza che sia in grado di far passare una serie di modifiche normative per le quali hanno fatto pressione a lungo.
Trump ha lanciato un segnale importante in questa direzione ieri, dichiarando per l’appunto di voler nominare Paul Atkins alla presidenza della Securities and exchange commission. Atkins è stato commissario della Sec durante la presidenza di George W. Bush, e da quando ha lasciato l’agenzia si è schierato contro un’eccessiva regolamentazione del mercato. Nel 2017 si è unito alla Token Alliance, un’organizzazione di difesa delle criptovalute.
Si tratta quindi un profilo praticamente opposto a quello dell’attuale presidente della Sec, Gary Gensler, che ha impresso un giro di vite all’industria delle criptovalute, sanzionando diverse società per violazione delle leggi sui titoli. Ma ha anche affrontato le critiche degli operatori del settore, come il responsabile legale di Robinhood, che ha descritto l’approccio di Gensler verso le criptovalute come “rigido” e “ostile”. Gensler si dimetterà a gennaio, quando Trump entrerà in carica.
Ma gli analisti raccomandano cautela
In questo scenario, gli analisti raccomandano ancora cautela, soprattutto per i piccoli investitori. L’alleggerimento della regolamentazione da parte dell’amministrazione Trump, d’altra parte, potrebbe significare anche meno tutele. “Direi di mantenere le cose semplici. E non assumetevi più rischi di quelli che potete permettervi”, ha detto per esempio Adam Morgan McCarthy, analista di ricerca presso Kaiko, aggiungendo che non esiste una ‘palla magica’ per sapere con certezza cosa succederà. Basti pensare che appena due anni fa, il Bitcoin è crollato sotto i 17mila dollari in seguito al fallimento della borsa di scambio Ftx.
Senza contare che nonostante Trump sia dichiaratamente ostile alle politiche di sostenibilità ambientale, rimane il nodo dell’enorme consumo di energia richiesto dalle attività di mining delle criptvalute. Una recente ricerca pubblicata dall’Università delle Nazioni Unite e dalla rivista Earth’s Future ha rilevato che l’impronta di carbonio dell’estrazione di Bitcoin nel periodo 2020-2021 in 76 nazioni equivale alle emissioni prodotte dalla combustione di 38 miliardi di kg di carbone o dal funzionamento di 190 centrali elettriche alimentate a gas naturale.
E a prescindere da come la si pensi sulla questione ambientale, si dovrà necessariamente fare i conti, almeno sul piano della gestione energetica, con un eventuale exploit delle attività di mining delle criptovalute.