La proliferazione delle fake news è causata dalla facilità con cui, tecnologicamente, si possono condividere online le notizie, “clonandole” da uno a molti altri siti, con l’aggravante di non poterne tracciare la fonte originaria, certificata, ovvero “autoritativa” relativamente alla notizia stessa o alla sua prima pubblicazione.
Sarebbe possibile mitigare questo problema agendo su due fronti contemporaneamente: da un lato, con l’apposizione sul contenuto originale di una firma elettronica associata all’autore del medesimo (ovvero di un sigillo elettronico dell’ente cui l’autore appartiene o per conto del quale riporta la notizia); dall’altro, tracciando con un sistema basato su blockchain la propagazione del medesimo contenuto su molteplici piattaforme.
Le piattaforme online possono implementare o meno a questo sistema, che potrebbe essere accessibile, mediante Api o altri plugin open-source per i principali Cms, anche a piattaforme private, o comunque non gettonate come le solite “majors” del social networking.
L’implementazione consisterebbe in un servizio, integrato e il più possibile trasparente con la user experience (UX) dell’utente finale che, interrogando la blockchain relativamente all’autenticità di un contenuto ospitato presso la piattaforma, permette di risalire sino al contenuto originario, verificandone “all’indietro” la conformità di ogni sua ri-condivisione e, in ultima analisi, la paternità del medesimo ascritta al firmatario dell’originale.
Le interrogazioni alla blockchain verrebbero demandate ad un sistema distribuito, possibilmente indipendente dalla piattaforma ospitante. L’adesione ad un’unica blockchain da parte di un gran numero organizzazioni fra loro indipendenti (organizzativamente, territorialmente e possibilmente ideologicamente), garantisce la neutralità del sistema, dato che il trust model insito nell’intera blockchain sarebbe federato dalle medesime organizzazioni, in questa declinazione tecnologicamente democratica della “libertà di stampa”.
Non si impedisce, con questo sistema, che il contenuto possa essere comunque “copia-e-incollato” su piattaforme online prive di tale servizio di verifica. In tal caso, però, con la copia si perderebbero i “metadati” che consentirebbero di tracciarlo all’interno della blockchain. L’intento, dunque, sarebbe che le piattaforme che riportassero sistematicamente contenuti senza offrire tale servizio di verifica perderebbero sempre di più credibilità proprio come conseguenza di questa decisione. La differenziazione tra gli aderenti alla blockchain garantirebbe l’imparzialità etica della blockchain (o quantomeno un potenziale bilanciamento nei contenuti “di tendenza”); l’approccio open source nell’implementazione di API e plug-in, garantirebbe invece l’imparzialità tecnologica (mitigando il pericolo del “vendor” lock-in).
Come si è detto, l’adozione di una firma o di un sigillo elettronici (possibilmente qualificati a norma eIDAS) garantiscono l’autenticità e l’integrità del contenuto originario; la blockchain invece garantisce la conformità di tutte le ricondivisioni del contenuto con l’originale.
In questo scenario i firmatari sarebbero in primo luogo giornalisti professionisti o anche collaboratori di testate giornalistiche o altri organi di comunicazione. Questi ultimi sarebbero i soggetti che creano i suddetti sigilli elettronici, ovvero emettono certificati di firma (revocabili) per i loro autori riconosciuti. La blockchain potrebbe anche accettare contenuti autenticati da soggetti per mezzo di uno schema di identificazione elettronico europeo ―quale in italia è ad esempio Spid― che potrebbe autonomamente fornire l’appartenenza o meno del soggetto a ordini professionali (es. giornalisti).
Tale appartenenza, certificata, potrebbe essere manifesta nell’UX dell’utente che dunque, interrogando una piattaforma online in merito ad una notizia specifica, a seguito di una interrogazione anonimizzata, potrebbe validare l’autenticità della notizia valutando le qualifiche dell’autore ovvero della testata che ha originariamente pubblicato il contenuto. Si noti che l’interrogazione andrebbe anonimizzata per quanto riguarda il lettore e anche, opzionalmente, per quanto riguarda la fonte (mostrando solo la testata registrata di appartenenza ovvero l’ordine professionale di appartenenza dell’autore, senza mostrare il suo nome).