Riflettori accesi anche in Italia sulle blockchain. È logico che ci sia questa attenzione dopo che il Fondo monetario internazionale in un recente rapporto ha espresso un prudente interesse per le criptovalute e la sottostante tecnologia delle blockchain. Nel paludato e rarefatto mondo della finanza è stata una chiamata alle armi che le banche anche nostrane non possono evitare di seguire. Dopotutto, secondo il World Economic Forum entro il 2025 il 10% del PIL mondiale transiterà su una tecnologia blockchain. Ecco dunque cosa sta succedendo in Italia.
Blockchainlab è uno dei progetti che stanno nascendo nel nostro Paese per prendere parte a quella che i suoi creatori definiscono “la più grande rivoluzione in campo FinTech”. È la fusione tra finanza e tecnologia, un nuovo livello di penetrazione del digitale nel mondo tradizionale. Blochainlab.it sta sperimentando le nuove tecnologie legate alla catena dei blockchain: la missione statutaria è di costruire un centro di eccellenza per fornire una mappatura completa e costantemente aggiornata di tutte le tecnologie: dalle startup innovative agli esperti del settore. Partner sono il Gruppo Azimut e Intesa Sanpaolo. Tra le startup: Wolf on Trading, Oraclize, Coin Capital, GreenAddress, Eternity Wall, The Rock Trading, InBitcoin, Crowdaura, Euklid e Cryptoclub.
«Blockchain – spiegano i fondatori del laboratorio – è una rivoluzionaria forma di registro distribuito che per la prima volta nella storia dell’uomo rende possibile riprodurre la scarsità nel mondo digitale, senza bisogno di enti centrali». È quello che rende possibile la “Internet della proprietà”, dove moneta e sistemi di pagamento sono solo la prima di una serie di potenzialmente infinite innovazioni.
La moneta più famosa tra le criptovalute, il BitCoin, ha ricevuto pochi mesi fa disco verde per la sperimentazione da parte della Banca d’Italia: il nulla osta della Banca centrale italiana è stato espresso pubblicamente anche dal governatore Ignazio Visco, secondo il quale le innovazioni, in quanto tali, implicano cambiamenti, a volte repentini e a volte lunghi, con i quali comunque bisogna alla fine fare i conti.
Lavora sul tema Banca IMI, del gruppo Intesa Sanpaolo, secondo la quale le opportunità possono in alcuni casi superare i rischi delle tecnologie blockchain ma richiedono un cambiamento profondo nei sistemi di regolamentazione e nella natura stessa delle banche, per consentire i nuovi modelli di business che possono emergere da questo cambiamento di paradigma.
Il tema della regolamentazione e dei possibili modelli di business in quest’ultimo quarto di 2016 è la logica conseguenza dell’anno e mezzo passato a studiare e analizzare i possibili sviluppi delle tecnologie Blockchain da parte degli istituti bancari di tutto il mondo, Italia compresa.
Solo alcune delle nostre banche però partecipano ai grandi consorzi internazionali che stanno studiando e lavorando sugli standard. Come R3 Cev, formato da una cinquantina di banche di tutto il mondo tra cui Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Gli esperti ritengono che il ruolo delle banche e dei big della finanza sia fondamentale per riuscire a far decollare le tecnologie blockchain.
Senza contare che ci sono problemi strutturali da risolvere: i volumi di transazioni dei circuiti di pagamento come carte di credito e sistemi interbancari richiedono infatti grandi mole di dati, nell’ordine di svariati gigabyte ogni minuto, che nella logica di funzionamento dei blockchain devono transitare tra tutti gli utenti della catena. Il problema è di riuscire a far scalare la tecnologia ma anche di chiarire su chi pesano i costi delle infrastrutture tra i vari enti che saranno impegnati nella costruzione degli snodi delle blockchain, ad esempio tra istituti di credito del nostro Paese.
Intesa Sanpaolo intanto ha investito in un innovation center interno che ha la missione di studiare e avviare progetti per garantire la competitività del gruppo anche sul fronte tecnologico.
Anche Unicredit infatti si è convinta che i blockchain possano rivoluzionare il mondo delle banche, unificandone il funzionamento. Per questo l’istituto è tra i sette grandi (Ubs, Santander) che hanno fatto partire la rete blockchain di Ripple, il primo esperimento su larga scala di funzionamento delle catene blockchain.
Novanta altre banche di tutto il mondo adesso spingono per entrare nel circuito. Una possibile rivoluzione nel trasferimento di denaro e non solo.
Sempre Unicredit per questo motivo ha lanciato lo scorso marzo un fondo da 200 milioni di euro per il FinTech. Il fondo mira a dare gambe ai progetti di startup innovative ed è coordinato con la società di consulenza e di investimenti londinese Anthemis Group. L’idea è quella di finanziare le startup più promettenti e fornire anche il know-how bancario per quelli che Unicredit definisce i “digital naive”, gli ingenui digitali, dal punto di vista delle competenze finanziare. Infine, l’idea è che oltre al ritorno economico il fondo consenta anche di accelerare la digitalizzazione del gruppo Unicredit.