Blockchain, questa sconosciuta. In Italia sono ancora una minoranza le aziende che utilizzano la nuova tecnologia: emerge dalla ricerca Retail Transformation elaborata dal Digital Transformation Institute e Cmft in collaborazione con Assintel e Swg, secondo cui le applicazioni relative a blockchain presentano un utilizzo nullo o molto basso per il 65% delle imprese italiane, mentre sono solo un 13% quelle che ne fanno un uso medio-alto. Non molto diversa la situazione futura, visto che solo il 22% delle imprese s’immagina di usare blockchain, a fronte di un 43% che pensa a un utilizzo nullo o medio basso.
Nei prossimi tre anni la situazione risulterà non molto diversa: criptovalute non saranno prese in considerazione dal 54% delle aziende; crowdfunding dal 35%; smart property dal 32%. Una previsione che va oltre i tre anni fa registrare un 27% delle aziende interessate al prediction market, un 22% al crowdfunding, un 19% agli smart contrats e un 16% agli energy markets.
Ancora più marcata la conoscenza della blockchain tra i consumatori. Solo l’11% conosce il termine e l’81% non l’ha mai usata. Il 19% ne ha sentito parlare ma non sa di cosa si tratti e il 52% ammette di non avere mai sentito questa parola. Diversa è la situazione per i social network, ben noti al 69% dei consumatori, intelligenza artificiale (34%), realtà aumentata e virtuale (32%), big data (15%) e IoT (14%). Ad aver effettuato acquisti con bitcoin e altre criptovalute in modo regolare, per esempio, sono soltanto il 3% degli intervistati.
Circa le possibili applicazioni della blockchain, i consumatori giudicano migliore l’intermediazione virtuale piuttosto che umana nell’acquistare un’auto senza dover gestire la burocrazia del passaggio di proprietà (59%), nel garantire l’autenticità di un titolo di studio o di altro documento (57%), nel riconoscere l’identità di una persona o di un’organizzazione (50%) o nel certificare la provenienza di un prodotto alimentare senza la necessità di organismi di verifica e certificazione (45%).
“I risultati non devono stupire – afferma Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute – in quanto parliamo di una soluzione che, uscendo dal ristretto nucleo di chi a vario titolo se ne occupa, è ancora giovane e ‘lontana’ dai consumatori”. Fronte imprese serve “che le aziende riescano, a medio termine, ad inquadrarne le reali caratteristiche ed i vantaggi concreti, anche per uscire dal momento attuale di hype, nel quale si propongono soluzioni basate su blochchain anche per fare il caffè”.
“In questo contesto – dice Giorgio Rapari, presidente Assintel – ci sono almeno due elementi che vanno presi in considerazione: da una parte l’azione delle istituzioni, che devono sostenere il corretto sviluppo di questa tecnologia per consentire al nostro sistema di imprese di mantenere un buon livello di competitività. Dall’altra la capacità delle aziende di IT di veicolare in maniera corretta le opportunità di queste soluzioni verso le aziende clienti: il ruolo degli operatori IT è sempre più importante, in un contesto in cui tali attori stanno diventando da fornitori di soluzioni a partner di servizio. La complessità della tecnologia e dei suoi sviluppi è tale da dare un ruolo di grande responsabilità a chi propone soluzioni digitali, in quanto tali soluzioni hanno un impatto sostanziale sul business”.
“La dimensione di consapevolezza delle aziende – continua Mario Sassi, Direttore Generale del Cfmt – è centrale per favorire un corretto sviluppo di questa tecnologia. In questo momento le distributed ledger technology stanno vivendo un momento di passaggio da tecnologia di nicchia a soluzione diffusa, ed è di fondamentale importanza che i manager delle aziende, anche delle Pmi, siano consapevoli delle reali possibilità per comprendere come implementarle nel business”.