Smart city per smart citizens, che guidano smart car. Le città del futuro saranno dominate dall’intelligenza brillante, che ha come paradigma l’internet of things. Già oggi abbiamo esempi nazionali e internazionali di illuminazione pubblica, che si autoregola in base alla luminosità naturale, di percorsi per la raccolta dei rifiuti secondo la saturazione dei cassonetti, di semafori la cui durata dipende dai flussi di traffico.
Ma il panorama presente e, soprattutto, futuro sono ben più ampi e ambiziosi. Obiettivo? Il miglioramento delle condizioni di vita, l’abbattimento di alcuni costi, la riduzione dei rischi e dei tempi di esecuzione di alcune attività, l’aumento della velocità di erogazione di alcuni servizi. “È quasi un obbligo per le città pensare di diventare smart – afferma Angela Tumino, direttore dell’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano. Oggi, in città vive oltre il 50% della popolazione mondiale. Ma non solo. Le città producono il 75% dei rifiuti, l’80% dei gas serra e consumano il 75% dell’elettricità.
Le cifre ‘mosse’ dalle città sono così importanti che è facile intuire perché l’Unione Europea abbia destinato oltre 85 miliardi di euro per le smart city all’interno del programma Horizon 2020. Il nanismo congenito del nostro Paese – micro e piccole imprese, micro e piccole città – non facilita certo l’approccio al tema di rendere intelligenti le nostre città. Poco più del 50% della popolazione abita nei comuni con più di 20 mila abitanti, che rappresentano solamente il 7% dei comuni italiani.
Proprio su questi ultimi l’Osservatorio si è concentrato per valutare la propensione a realizzare progetti Smart City. Il 24% delle risposte ottenute dai questionari inviati agli oltre 500 comuni è stato integrato da informazioni su altre 104 municipalità per rendere significativo il campione esaminato.
“Emerge un quadro a tinte contrastanti – prosegue Giulio Salvadori, ricercatore dell’Osservatorio – che lascia spazio ad alcune interpretazioni. Se negli ultimi tre anni il 60% dei comuni esaminati ha realizzato almeno un progetto Smart City, a testimonianza di un interesse diffuso, non si può negare che la propensione verso questi progetti aumenta sensibilmente con le dimensioni delle città: meno del 50% per le realtà più piccole, oltre l’85% per i comuni più grandi”. Le maggiori dimensioni attraggono più facilmente gli investimenti di soggetti pubblici e privati. Ne sono un esempio lo stanziamento dei fondi PON Metro 2014-2020 (il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane), destinati al ridisegno dei servizi urbani, e i progetti di car sharing, diffusi in prevalenza nelle grandi città.
Bologna è quella a cui più comuni si sono ispirati, visti i diversi progetti avviati a supporto della mobilità, dell’illuminazione pubblica e della sostenibilità ambientale.
A Milano si ispirano soprattutto i piccoli centri (35%), a Bologna quelli di medie dimensioni (43%). Verso quale direzione si stanno orientando i comuni italiani interessati ai progetti smart city? Si confermano l’illuminazione intelligente e la gestione del traffico, mentre è in crescita la raccolta dei rifiuti, soprattutto al sud e nelle isole, con il 65% delle preferenze e nei comuni di medie dimensioni. In termini dimensionali i piccoli centri privilegiano la sicurezza (48%), quelli grandi la viabilità (63%).
L’utilità dell’internet of things nel panorama smart city è un fatto ormai inconfutabile. Rimangono, però, aperti alcuni nodi: dalla capacità di valutare i benefici derivanti da questi progetti alle difficoltà di aggregare le disponibilità finanziarie, fino ai gap nella competenza tecnica, da coprire per presidiare il dialogo tra le infrastrutture tecnologiche nuove e quelle precedenti, ma anche per poter avviare un’infrastruttura condivisa tra più applicazioni (le Smart Urban Infrastructure ritenute utili per accelerare lo sviluppo delle città intelligent).
“Sul fronte finanziario – conclude Tumino – oltre alle risorse pubbliche, sta crescendo l’interesse per il partenariato pubblico-privato, il project financing e i minibond. Il deficit relativo alle competenze, invece, può essere colmato da un collegamento più frequente all’interno del più ampio sistema che comprende le università, i comuni con esperienze più avanzate, le aziende municipalizzate, attive soprattutto nell’ambito utility e, perché no, con le startup, per loro natura in grado di stimolare nuove visioni progettuali”.