Booking.com è sotto la lente della procura di Genova, che indaga sulla presunta evasione dell’Iva della multinazionale del turismo online sul territorio italiano. Un tributo che secondo gli investigatori sarebbe dovuto, e che invece la piattaforma non avrebbe finora corrisposto al fisco.
A dare il via all’inchiesta erano state le audizioni che gli inquirenti avevano portato a termine durante l’estate, convocando centinaia di proprietari di immobili che venivano proposti in affitto sul sito. Grazie a una rogatoria internazionale gli investigatori sono inoltre riusciti ad avere dai loro colleghi olandesi i numeri del giro d’affari della multinazionale in Italia, ottenendo così una base da cui partire per effettuare i calcoli e quantificare la presunta evasione. E’ stato infatti possibile, proprio grazie ai documenti arrivati dall’Olanda, calcolare il numero e l’entità delle transazioni avvenute in Italia.
Se infatti i proprietari degli immobili possono regolarizzare la propria posizione dichiarando al fisco il proprio ricavo, al netto della commissione versata a Booking.com, la piattaforma online non si sarebbe finora occupata di versare l’Iva calcolata sugli introiti generati dalla propria attività di mediazione.
Secondo quanto dichiarato proprio da Booking.com sul proprio sito, quando illustra le proprie linee guida si partner sulle tasse locali, la società spiega: “non applichiamo l’Iva ai nostri partner, ma calcoliamo la commissione sull’importo totale addebitato all’ospite”. Booking.com invita poi chi avesse dubbi sull’Iva a rivolgersi direttamente alle autorità locali, considerando evidentemente la questione fuori dalle proprie competenze dal momento che il quartier generale della società è in Olanda.
L’indagine in corso va ad aggiungersi a una serie di fascicoli aperti negli ultimi anni in tutta Italia sui giganti del Web, che ah visto in prima fila finora la Procura di Milano, con le indagini che hanno portato Apple a patteggiare nel 2015 il pagamento di 318 milioni di euro, e due anni dopo Google e Amazon a raggiungere rispettivamente accordi per 306 milioni e 100 milioni di euro. A novembre 2018 è stata la volta di Facebook, che ha messo fine al contenzioso accettando di versare al fisco 106 milioni di euro.