TECNOLOGIE

Braccialetto elettronico anche per i mafiosi

Prima misura cautelare nei confronti di un detenuto agli arresti domiciliari a Gela. Il dispositivo sempre più diffuso in Italia

Pubblicato il 16 Apr 2014

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Prima misura cautelare del braccialetto elettronico, oggi, a Gela, per un detenuto agli arresti domiciliari condannato per mafia. Si tratta di Claudio Domicoli, di 34 anni, esponente della famiglia “Rinzivillo” di “Cosa Nostra” gelese. La misura è stata disposta dal giudice monocratico del tribunale, Manuela Marra, nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto dello stesso imputato che i carabinieri avevano bloccato, ieri, perché evaso dal suo domicilio dove si trovava in stato di detenzione. Il provvedimento, come prevede la legge, è stato emesso dietro preventiva accettazione da parte dell’imputato, il quale avrebbe potuto anche rifiutare, optando per la detenzione in carcere.

Il braccialetto elettronico è un dispositivo che viene collocato alla caviglia o al polso del carcerato. Si tratta di un trasmettitore che invia impulsi radio a un ricevitore fisso detto “Smu” (unita’ di sorveglianza locale) simile a una radiosveglia, che viene installata dai tecnici del gestore Telecom nell’abitazione del detenuto. Se si supera la distanza prestabilita (un ragionevole raggio di alcuni metri), scatta la segnalazione d’allarme che, attraverso una linea telefonica, giunge alla centrale operativa di Telecom Italia e da questa girata alle forze dell’ordine.

All’inizio dello scorso marzo era stato Stefano Aprile, giudice per le indagini preliminari di Roma, a spiegare al Corriere delle Comunicazioni il “nuovo corso” del braccialetto elettronico in Italia e i vantaggi che era in grado di offrire: “Mettere una persona ai domiciliari senza braccialetto significa che più volte al giorno le forze dell’ordine incaricate debbano andare a controllare che rispetti le consegne, mentre con il braccialetto il controllo è costante, 24 ore su 24, e al minimo allarme si può mandare una volante – aveva detto – Così, anche da punto di vista complessivo di efficienza del contrasto al crimine c’è molto da guadagnare”.

Mentre fino a poco tempo fa il braccialetto elettronico pagava anche una certa diffidenza di parte della magistratura, oltre che una effettiva mancanza di regole e procedure che ne stabilissero le modalità di utilizzo, oggi questi aspetti sembrano definitivamente risolti. E i numeri iniziano a parlare. Se, infatti, nei primi sei mesi del 2013 erano stati attivati 26 braccialetti, le cifre sono sensibilmente salite nella seconda metà dell’anno, fino quasi a triplicare, con 86 attivazioni.

I primi due mesi di ques’anno hanno confermato l’accelerazione, con oltre 140 nuovi braccialetti attivati, che hanno portato ad un fotografia attuale più di 220 dispositivi operativi. Anche se la strada da fare è ancora lunga, perché l’accordo che lega il ministero dell’Interno a Telecom Italia è per la fornitura di 2mila braccialetti, cifra stabilita dall’allora ministro Angelino Alfano dopo uno studio ad hoc sull’applicabilità della misura. La media è destinata ad aumentare anche grazie a un emendamento nel decreto “svuota carceri”, che dispone che non è più discrezione del giudice applicarlo, e che questo debba motivare la decisione di non servirsene: un cambiamento di prospettiva che sintetizza bene la nuova sensibilità nelle istituzioni.

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