CAMERE E INNOVAZIONE - 7

Bruno Bossio (Pd): “L’Agid sia il braccio operativo del Governo”

La parlamentare: “La cabina di regia sull’Agenda digitale non può essere soltanto un pensatoio, ma deve poter collegare alle scelte gli investimenti. Un sottosegretario avrebbe i poteri che Caio e il suo gruppo non hanno avuto”

Pubblicato il 08 Apr 2014

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Pubblichiamo le opinioni dei deputati e dei senatori che hanno aderito all’intergruppo sull’Innovazione. Un insieme di eletti bipartisan che “fa gruppo” con l’obiettivo di sensibilizzare i Palazzi e indirizzare i provvedimenti esaminati da aule e commissioni per “rimettere il digitale al centro delle decisioni parlamentari”.

Risponde Enza Bruno Bossio, classe 1957, eletta alla Camera nella lista del Partito democratico, iscritta al gruppo del Pd. Fa parte della commissione parlamentare di inchiesta sulle Mafie e della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni.

Onorevole Bruno Bossio, come è nata l’idea di aderire a questo intergruppo?

Lo considero come una mia collocazione naturale. Io faccio parte della commissione trasporti e telecomunicazioni, e sono particolarmente interessata al tema telecomunicazioni perché nella mia “vita precedente” mi sono occupata di Ict, sono stata amministratore delegato di aziende informatiche importanti, anche del gruppo in Finsiel Telecom, e tra le altre cose ho sviluppato progetti territoriali rivolti alla pubblica amministrazione. Tra i membri della commissione Trasporti quelli specializzati in telecomunicazioni siamo non più di 5, e da qui era nata l’idea di creare una commissione permanente, che si staccasse dai Trasporti diventasse autonoma. Questo comporterebbe una modifica di regolamento, che non è semplicissima: così abbiamo provato a vedere se c’erano altri parlamentari e senatori disponibili, intanto, a lavorare sul tema delle reti, dell’agenda digitale e dell’Ict. Devo dire che dopo i primi passi piuttosto lenti il gruppo si è abbastanza allargato. Va benissimo così, perché spesso i temi sono trasversali e riguardano commissioni diverse, oltre che ministeri differenti.

Quali sono le sfide con cui siete chiamati a misurarvi?

Innanzitutto c’è un problema di governance. Bisognerebbe che i ministeri fossero coordinati su questi temi sotto la Presidenza del Consiglio, e che si potessero considerare insieme gli investimenti nelle infrastrutture con quelli sui servizi, soprattutto per la Pa: penso ad esempio alla dematerializzazione, all’integrazione delle anagrafi, alle competenze digitali, al fascicolo sanitario elettronico. Questioni che non possono essere semplicemente impostate come azioni verticali, ma hanno bisogno di coordinamento. Per questo ci vuole una delega politica a qualcuno dei sottosegretari, perché ci sia qualcuno che abbia il potere, che Caio non aveva, di poter incidere sulle scelte relative agli investimenti. Perché se la cabina di regia diventa soltanto un pensatoio, e poi gli investimenti vanno per fatti loro, ci si trova in una condizione di impotenza, come quella in cui si è trovato il gruppo di Caio. Abbiamo una struttura importante, che andrebbe sfruttata meglio: l’Agenzia per l’agenda digitale. Potrebbe essere valorizzata e diventare uno strumento operativo del Governo, invece che rimanere parallela rispetto all’azione dell’esecutivo.

Gli investimenti ci sarebbero, anche rispetto ai fondi strutturali, ma non hanno efficacia perché non hanno capacità di incidere. Ad esempio quelli per l’innovatività delle imprese: la crescita del Pil passa attraverso l’innovazione delle imprese, e in questo momento le nostre imprese sono abbastanza in ritardo.

Il Parlamento è abbastanza consapevole della centralità di questo tema per il futuro del Paese?

E’ importante esse molti nell’intergruppo, perché è una dimostrazione di sensibilità. Anche se dal punto di vista della competenza il digitale è spesso un elemento ancora abbastanza oscuro per la politica. Spesso viene citato ma non se ne comprendono fino in fondo le potenzialità: su questo c’è ancora da lavorare. Ma l’attenzione c’è, ed è cresciuta da quando Renzi ha detto che vuole che l’Italia sia capofila in Europa nell’Ict in vista del semestre italiano di presidenza europea. Anche se molte scelte devono ancora maturare: ad esempio siamo tra i pochi paesi europei a non avere un Cert nazionale, e questo crea un problema rispetto alla strategia comunitaria sulla cybersecurity. E’ uno dei passi che si devono ancora compiere.

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