“Rottamiamo le smart city!”. La provocazione è lanciata da Mario Calderini, presidente del Comitato tecnico delle comunità intelligenti, costituito in seno all’Agenzia per l’Italia digitale come previsto dal decreto Crescita 2.0, e già consulente per le città intelligenti dell’ex ministro Francesco Profumo.
“Bisogna – sottolinea – riscoprire una visione sociale di ampio respiro dei progetti smart communities affidarsi ad una governance leggera ma stabile ed asservire a ciò una strumentazione finanziaria innovativa per restituire smalto all’Agenda digitale.
Calderini la sua è un affermazione forte. Vuole buttare al macero quanto fatto finora sul versante smart city e communities?
Certo che no. Sono convinto, però, che sia necessario fermare la progettazione squisitamente tecnologica che, in qualche caso, ha ridotto le città intelligenti a un concentrato di tecnologia, e focalizzare attenzione e risorse sui processi di innovazione sociale, sviluppando una diversa visione del linguaggio della cittadinanza che darà anima al “vestito” tecnologico finora indossato.
In questo senso, il comitato nato in senso all’Agenzia per l’Italia digitale cosa può fare?
Abbiamo un mandato molto forte. Il comitato deve proporre lo statuto della cittadinanza intelligente, uno strumento che “obbliga” a subordinare progetti e impegni ad una visione sociale della comunità che si intende costruire e ad esplicitare quali forme di benessere si intendano garantire ai cittadini. Si tratta di uno strumento politico necessario a realizzare accountability e trasparenza. Diciamo che il comitato vuole farsi promotore di una patto tra amministrazioni locali e governo centrale, definendo i principi che indirizzano le politiche delle comunità intelligenti.
Lei dice di ripartire dall’innovazione sociale. Ma, concretamente, quali sono le azioni da mettere in campo?
A mio parere sono due le cose urgenti da fare per ridare forza al disegno delle smart cities and communities nell’ottica di una social innovation. La prima è quella di rilanciare una soft governance di processi che, tipicamente, vengono dal basso e che per loro natura non possono essere gestiti in maniera dirigista. La gestione che ho mente punta dare un’impalcatura alle reti esistenti basata su standard tecnici che garantiscano interoperabilità e replicabilità del business model. Serve poi individuare dei protocolli di ingaggio pubblico-pubblico per dare rappresentatività ai territori. Si tratta di azioni fondamentali per stimolare investimenti utili ai territori e ai cittadini da parte dei Comuni. In questo modo si andrebbe ad evitare che i vendor IT “rifilino” soluzioni proprietarie che, nagari, a quella città non servono affatto. Il secondo fronte su cui agire riguarda i modelli di finanziamento.
A questo proposito il ministro Maria Chiara Carrozza, in un’intervista al nostro giornale, ha detto che non è più tempo di bandi. Lei è d’accordo?
Ha ragione il ministro a dire che bisogna trovare formule alternative. Sono d’accordo con quanto detto, e lo sono anche “retroattivamente”.
Però i bandi smart city sono partiti proprio quando lei era consulente del ministro Profumo…
Quando il governo Monti si è insediato, molto sulla strategia delle samrt city era stato deciso. Abbiamo dovuto finalizzare un processo già iniziato. Oggi però le condizioni sono molto diverse: non ci sono più le risorse nelle pubbliche amministrazioni centrali e locali. Ora ci si deve impegnare a trovare modelli di finanziamento evoluti e sostenibili dal punto di vista finanziario e progettuale per la realizzazione delle città intelligenti.
Come fare?
Per prima cosa bisogna lanciare nuove politiche della domanda, puntando sul procurement innovativo e pre-commerciale per aumentare “l’intelligenza” di acquisto delle amministrazioni. In questo quadro un ruolo strategico lo deve giocare Consip. Bisogna poi evitare gare al ribasso su prodotti e servizi che, invece, “valgono” molto dato che possono cambiare la vita dei cittadini. In questa direzione, seppur con strumenti molto diversi, va anche osservata con estremo interesse l’iniziativa lanciata dal ministro Carrozza di istituire una piattaforma di challenges&prizes per la risoluzione di problemi sociali emergenti.
E sul lato dell’offerta, invece, cosa si potrebbe fare?
L’idea è studiare una nuova forma di ingegneria finanziaria il cui perno non sia l’indebitamento, ma modelli di intese pubblico-privato che “ingaggino” finanza privata, ovvero investimenti da parte delle imprese nelle città. Va valorizzata la finanzia di impatto sociale ovvero i social impact bonds: il capitale raccolto da investitori privati viene utilizzato per realizzare programmi che si propongono di ottenere specifici risultati sociali, come nel caso della smart communties. La logica su cui si basa il social impact bond è che gli interventi così finanziati costino meno degli interventi che il servizio pubblico dovrebbe mettere in atto con fondi propri, con un ingente risparmio per la pubblica amministrazione, risparmio poi utilizzato per remunerare gli investitori privati. Io credo che qualunque privato che si avvicini a un Comune con una proposta di servizio “intelligente” dovrà associarvi uno strumento finanziario di ingaggio pubblico privato che consenta la effettiva realizzabilità dell’operazione.
Quindi nel suo modello non è previsto nessun intervento del pubblico?
Il ruolo dello stato è quello di standardizzare ed abilitare un piccolo portafoglio di strumenti che rassicurino i pubblici amministratori e i cittadini che l’operazione finanziaria non ha nulla a che fare con le spericolate operazione che hanno messo in difficoltà molti comuni italiani negli ultimi anni. Ci vuole quindi un po’ di regolamentazione e molta formazione. In questo contesto un ruolo importante è giocato dalla cornice regolamentare: interventi di “tuning” delle nuove regole contabili imposte dalla crisi saranno necessari per favorire gli investimenti di lungo periodo, anche spingendo sulla regolazione “investment friendly”.
Ovvero?
Nella congiuntura attuale occorre creare le condizioni favorevoli a capitali privati pur riconoscendo un ruolo crescente ed importante agli investitori istituzionali. Serve dunque un forte impegno di tutti gli stakeholder per fare sì che la smart city possa finalmente decollare in un contesto di partnership pubblico-privato evoluta.
AGENDA DIGITALE
Calderini: “Rottamiamo le smart city!”
Il presidente del Comitato tecnico delle comunità intelligenti: “Stop alla progettazione
tecnologica, ora è necessario concentrarsi sui processi di innovazione sociale per dare
sostanza a una nuova idea di cittadinanza”. Risorse: “Avanti tutta sui social bond”
Pubblicato il 23 Nov 2013
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