LO STUDIO

Call Center, l’Istat: “Sono i lavoratori più insicuri e insoddisfatti”

Telefonisti e addetti ai call center in coda nel rapporto sulle professioni realizzato con Isfol. Cestaro, Slc Cgil: “I dati confermano le nostre tesi: settore eccessivamente esposto a situazioni insostenibili specie sul fronte degli appalti anche pubblici”

Pubblicato il 23 Set 2014

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In vetta alla classifica dei lavoratori meno soddisfatti della propria condizione professionale ci sono, secondo i dati IstatIsfol, i telefonisti e gli addetti ai call center (24,5%), poi il personale domestico (30%) e i venditori a distanza (30%). A seguire le professioni tecniche nei musei (32,6%), negli uffici giudiziari (34,6%) e nell’ambito dei servizi statistici (37%), alcune professioni non qualificate come i bidelli (36,6%) e gli addetti al lavaggio dei veicoli (37,2%), oltre agli addetti ai distributori di carburanti (37,6%).

“Questi dati non fanno altro che confermare quello che stiamo dicendo da diverso tempo. Il settore dei call center è eccessivamente esposto a situazioni insostenibili per i lavoratori, specie su tutto il fronte degli appalti, anche pubblici” commenta Massimo Cestaro, segretario generale della Slc Cgil. Per Cestaro, servono più regole per garantire i diritti dei lavoratori. “Si deve intervenire – spiega – sulla regolamentazione anche negli appalti pubblici, non si possono prevedere gare con il massimo ribasso e che vanno al di sotto dei minimi contrattuali”. E, oltre che i diritti dei lavoratori, nel settore, sottolinea Cestaro, “sono a rischio anche le imprese sane, oneste, quelle che rispettano i diritti dei lavoratori”. Oggi nel complesso operano nel settore 80mila addetti, di cui 40mila con gli operatori di gestione telefonica.

Secondo la ricerca sulle professioni di Istat e Isfol, inoltre, tra gli occupati che percepiscono maggiormente l’insicurezza del proprio lavoro c’è una netta predominanza degli addetti ai call center (11,3 in una scala da 0 a 100 dove 0 indica molto insicuro e 100 molto sicuro) e le professioni dello spettacolo (20,7). All’ estremo opposto, l’insicurezza minima si registra nelle professioni universitarie (82,9 per cento), nella magistratura (89,1), gli ambasciatori (78,5) e le professioni della pubblica sicurezza (88,8).

Tra le professioni che offrono buone possibilità di realizzare le aspirazioni professionali si annoverano quelle dell’artigianato, come ad esempio gli artigiani coinvolti nella lavorazione del legno, delle pelli e del cuoio. Chi le svolge riceve anche un buon riconoscimento dei propri meriti (58,2 in una scala da 0 a 100), più di quanto accada a chi svolge una professione di elevata specializzazione (55.2). Queste ultime, infatti, rispetto al riconoscimento dei propri meriti, sono penultime in graduatoria, seguite solo dalle professioni operaie non qualificate.

Oltre 14 milioni di occupati esprimono la necessità di aggiornare le conoscenze e competenze acquisite o di apprenderne delle nuove. A fronte di questa esigenza, tuttavia, solo poco più della metà delle professioni previste dalla classificazione (il 52,7 per cento) svolgono almeno una volta l’anno attività di manutenzione e sviluppo delle professionalità acquisite.

Le professioni a maggiore contenuto di elasticità, creatività e resilienza, sono quelle nell’ambito delle science mediche (86,5 in una scala da 0 a 100) e dei docenti universitari in scienze biologiche (84,4).

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