Garantire che il 95% delle attività realizzate in via diretta sia effettuato in Italia e che per i nuovi contratti, almeno l’80% dei volumi in outsourcing sia effettuato sul territorio italiano. E ancora: impegnarsi a prevedere strumenti di tutela dei lavoratori simili alla clausola sociale. Sono alcuni dei punti contenuti nel Protocollo, firmato da operatori e Governo, che definisce le buone pratiche sociali e commerciali per gestire i servizi di contatto con la propria clientela, cioè i call center, in via diretta o indiretta. Tredici i committenti firmatari: Eni, Enel, Sky, Tim, Intesa San Paolo, Fastweb, Poste, Trenitalia, Ntv, Unicredit, Wind3, Mediaset e Vodafone (il 65% dei committenti italiani).
“Abbiamo gettato un’ancora di protezione sociale in un settore delicato – ha commentato il premier Paolo Gentiloni – Per il governo questo è un valore da rivendicare, chi si batte per la società aperta non è insensibile alla tutela del lavoro. Per Gentiloni si tratta di un impegno tra i “più rimarchevoli e significativi che possiamo rivendicare in Italia”.
Quattro i punti toccati dal Protocollo: qualità del servizio, delocalizzazione, costo del lavoro, clausole sociali. Vediamoli nel dettaglio. Sulla qualità del servizio si sottolinea l’esigenza di chiarezza, semplicità di fruizione e correttezza delle informazioni fornite; certificazione linguistica B2 per gli operatori fuori dal territorio nazionale; individuazione di procedure che assicurino tempi di risposta definiti; applicabilità della normativa nazionale sulla privacy anche per i servizi erogati all’estero; rispetto delle fasce orarie individuate dalla normativa o dalle autoregolamentazioni vigenti. Su uno dei nodi più spinosi per il settore, le delocalizzazioni (sul punto il Governo è intervenuto, tra l’altro, stabilendo lo stop a incentivi alle imprese che si trasferiscono all’estero) si punta a garantire, come detto, che il 95% delle attività effettuate in via diretta sia effettuato in Italia entro 6 mesi dalla stipula e, per i nuovi contratti, almeno l’80% dei volumi in outsourcing sia effettuato sul territorio italiano (fermo restando il vincolo a non ridurre la quota attuale qualora superiore a tale valore).
E ancora, il protocollo interviene in materia di costo del lavoro chiedendo la sterilizzazione della componente dalle offerte dei fornitori, ovvero l’esclusione delle offerte dei fornitori, se il costo lavoro orario è inferiore alle tabelle del ministero del Lavoro o a quello fissato da accordo sindacale. Infine, il documento stabilisce l’impegno a prevedere strumenti di tutela analoghi a quelli previsti dalla norma in relazione alla clausola sociale o, alternativamente, valorizzare l’impegno dei fornitori di garantire l’applicazione di strumenti di tutela dei lavoratori analoghi a quelli previsti dalla norma. Il protocollo ha durata 18 mesi con rinnovo tacito e verifica dei risultati decorsi 12 mesi.
“Il governo è spettatore di una iniziativa di grandissima importanza” per un settore che ha conosciuto tempi difficili e “che occupa 80mila persone in Italia”, ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda – Non è un settore di passaggio” da un lavoro all’altro, ma “rimane un’occupazione per persone che non riescono a collocarsi”, ha aggiunto. “E’ un settore che ha una particolare complessità”, ha proseguito Calenda.
Soddisfazione è stata espressa dai sindacati. La Cgil considera il protocollo firmato oggi a palazzo Chigi sui call center “un primo passo importante”. “Si iscrive – sottolinea il segretario generale, Susanna Camusso – nella necessità di mettere trasparenza nel sistema delle gare che ancora nel settore si basano sul massimo ribasso, cancellando diritti e realizzando dumping sulle condizioni salariali, cominciando invece ad affermare il rispetto dei contratti ed il valore delle retribuzioni effettive e non dei minimi”.
“Significativo è – aggiunge – aver proposto un limite alle delocalizzazioni, anche se il nostro obiettivo è il contrasto totale, ma quantomeno si comincia ad affermare il principio. Serve poi coerenza e continuità, costruendo regole diverse anche in Europa, non subendo sempre il criterio del mercato unico regolatore. L’impegno che chiediamo ora al governo – conclude – è che ci sia non solo un monitoraggio, ma un effettivo controllo del rispetto di questi impegni, e di continuare nelle scelte di regolazione e di affermazione delle tutele del lavoro in un settore dove trovano occupazione decine di migliaia di lavoratori in condizioni di vero e proprio sfruttamento, come rivendichiamo nella piattaforma unitaria dei call center che stiamo preparando”.
Per Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil, il protocollo è un primo passo importante per provare ad attenuare la crisi del settore e per porre un argine ai processi di delocalizzazione, oltreché alla pratica degli appalti al massimo ribasso”.
“L’intesa non ha forza di legge, ma questo impegno di autoregolamentazione da parte di grandi realtà produttive, firmato alla presenza del Governo, rappresenta, comunque, un elemento di garanzia per l’occupazione – sottolinea – Noi auspichiamo che possa essere esteso a tutte le aziende che hanno call center. Per quel che ci riguarda, parteciperemo fattivamente all’attività dell’osservatorio nazionale che monitorerà l’andamento e l’attuazione del Protocollo, anche per realizzare eventuali azioni correttive, nell’interesse del settore e dei lavoratori”.
La segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. “La Cisl giudica molto positivamente – sottolinea la segretario generale della Cisl – La firma di questo protocollo sui call center. E’ di grande importanza che 13 grandi soggetti industriali del Paese, che rappresentano il 60% del mercato, abbiano deciso di stabilire una sorta di codice comportamentale “per ridurre fortemente gli effetti negativi delle delocalizzazioni e per rispettare una serie di norme per la tutela dell’occupazione italiana. Di grande importanza è anche la cabina di regia che ci vedrà protagonisti con le imprese su questo aspetto. Siamo convinti che la forte azione di moral suasion, richiesta anche dal sindacato, sia alla base della firma del protocollo di oggi e per questo siamo grati dell’azione svolta dal Governo e in particolare dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Da domani, per irrobustire e completare questo rafforzamento degli argini sul lavoro in un settore così esposto alla competizione – conclude – abbiamo già chiesto allo stesso ministro Calenda di proseguire il confronto con le proposte che il sindacato ha annunciato”.
“E’ un fatto senz’altro positivo che il Governo ai massimi livelli ponga la sua attenzione sullo sviluppo industriale di un comparto, quale quello dei call center, che rappresenta una componente significativa dei livelli occupazionali di questo Paese ed è un elemento chiave nella sua trasformazione digitale – commenta una nota di Asstel – Si tratta di uno strumento del tutto nuovo, anche nell’ottica di un approccio responsabile al business e che comporta un impegno socio economico da parte degli operatori L’associazione è pronta a dare il suo contributo nelle sedi in cui verrà chiamata a farlo, in linea con la posizione, già espressa in più occasioni, di arrivare a stabilire una politica industriale per i servizi di customer care, capace di offrire condizioni strutturali a sostegno della buona imprenditoria e della crescita di competitività, produttività e qualità. L’obiettivo per il settore deve essere quello di vincere, anche sulla spinta del Piano Industria 4.0, le sfide poste dall’innovazione tecnologica e dalla conseguente evoluzione del business”.
Per Assocontact è un primo interessante passo avanti verso l’intento di normalizzazione del mercato. Il Protocollo non prevede però parametri ancora particolarmente vincolanti su come erogare i servizi o gli obblighi per le aziende che non vi aderiscono o in materia di pricing, ma è stata anticipata una nuova fase di approfondimento ed implementazione attraverso un tavolo tecnico.
“E’ oggi più che mai necessario rimettere in equilibrio il mondo dei call center, nel quale il servizio offerto non è ancora remunerato a livelli tali da sostenere l’equilibrio economico delle tante società di out-sourcing che vi operano e che rappresentano, complessivamente, circa 80.000 lavoratori – spiega ha dichiarato Paolo Sarzana, presidente Assocontact – E’ necessaria una vera riforma del settore, con una Legge che obblighi tutti a rispettare regole più stringenti”.