L’Europa nell’hi-tech ha già perso il mercato del business tu consumer, ma ha ancora carte importanti da giocare sul BtoB, dove mantiene nicchie di eccellenza e può tornare protagonista. A questo tema AtKearney dedica uno studio da cui emerge che la rilevanza dell’Europa in questo settore è a rischio. “Nel 2015 la quota europea sulla domanda globale di hi tech sarà del 24% del totale mondiale, un punto sotto al 2012 – afferma Claudio Campanini, partner della Practice communications, media and technology di AtKearney – Stiamo perdendo incidenza per investimenti, per localizzazione delle imprese e per domanda”.
Dottor Campanini, anche le aziende più forti stanno ristrutturando o rimodulandosi. Come si spiega?
La quota del mercato consumer europea si è ridotta molto. Invece il business to business è fatto di molti settori di nicchia, e di un mercato che si consolida. Il problema della crisi degli europei è legato alla contrazione degli investimenti in nuove tecnologie, e alla diminuzione dei volumi del mercato: se c’è eccesso di capacità questo porta inevitabilmente a piani di ristrutturazione. Oggi le aziende emergenti sono nel Far East, dove si sfruttano meglio le curve tecnologiche. Dal nostro studio emerge che soprattutto nei settori più dinamici le aziende europee tendono a prendere traiettorie conservative. Questo le mette al riparo dai rischi ma impedisce loro di cogliere alcune opportunità, con implicazioni sull’occupazione e sulla capacità di mantenere tutto un indotto di forza lavoro e di investimenti.
Cosa può essere affrontato a livello di singolo Stato e cosa a livello Ue?
I singoli Stati hanno un ruolo cruciale nell’applicazione di quanto viene definito a livello europeo. E’ importante che l’Ue faccia fronte comune. Sarà fondamentale favorire l’investimento nell’Ict dove le aziende europee possono giocare un ruolo, e per questo serve un piano a livello europeo, un libro bianco in cui l’Ue stabilisca dove vuole investire in termini di aree di applicazione e di creazione di bacini di eccellenza. Poi è necessario trovare il modo di favorire l’investimento pubblico e privato proprio su questi bacini, per far crescere i segmenti nei quali si decide di andare a investire. Certo, esistono ancora differenze di standard e di regolamentazione, ma affrontare il tema in ottica comunitaria è fondamentale per evitare il declino.
Quali sono i mercati a cui si dovrebbe guardare con più attenzione?
L’hit tech è trasversale a moti altri settori: prendiamo l’automotive: per il futuro il valore di un’auto sarà determinato per più del 60% dall’elettronica. E’ chiaro che ci sono segmenti e mercati di sbocco, i cosiddetti mercati verticali, che richiederanno applicazioni, tecnologie, hardware, sistemi che sono sempre più rilevanti. Non si tratta solo di Pc e tablet, ma di una serie di applicazioni verticali per le quali in Europa, essendo forti sul business to business, possiamo giocare un ruolo ancora importante.
Quanto conta la formazione?
Associerei la formazione con gli investimenti in ricerca e sviluppo. L’Europa ha un deficit di investimenti in innovazione sul Pil di un punto percentuale rispetto agli Usa e di un punto e mezzo rispetto al Giappone, quindi le politiche di investimento vanno rivisitate per dare impulso a Ricerca e sviluppo. Oggi in Ue gli studenti che si iscrivono a facoltà tecnologiche sono il 17% del totale dei nuovi iscritti, rispetto al 30-35 in Asia. Questo è un altro deficit europeo: nel momento in cui la domanda si dovesse sviluppare noi dovremo importare ingegneri.
Ha riaperto al Mise il tavolo sulla Microelettronica. Quali sono le cose da fare per sostenere il settore?
Tutto quello che abbiamo detto finora può essere rapportato in scala su ogni paese. Sarà importante bilanciare alcune leve di breve termine, che risolvono le crisi aziendali, andando ad affrontare in prospettiva gli aspetti più strutturali. E infine è fondamentale che le aziende che hanno la scala per competere siano meno risk adverse e mirino a ingrandirsi e allargare i propri confini. Fatte salve alcune nicchie, ci sono molti segmenti in cui se si vuole competere la “quest for scale” è determinante.