Le startup innovative hanno bisogno di certezza. Dal palco dell’assemblea di Unioncamere il presidente Carlo Sangalli ha sollecitato il Mise ad intervenire dopo la sentenza del Consiglio di Stato che, di fatto, ha bloccato la cistituzione online di questo tipo di imprese.
Il viceministro dello Sviluppo economico, Gilberto Pichetto Fratin, ha assicurato che “non cadrà nel vuoto” la richiesta per “l’iscrizione gratuita e digitale delle startup innovative” alle Camere di Commercio dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto illegittima la costituzione dell’impresa senza notaio.
“Noi rispettiamo naturalmente la sentenza del Consiglio di Stato, ma le 3500 start-up già istituite hanno la necessità di ottenere delle risposte certe circa la loro validità e spero anche in tempi brevi”, ha precisato Pichetto Fratin all’assemblea di Unioncamere.
“Il Ministero dello Sviluppo economico – ha continuato il viceministro – è impegnato a trovare una soluzione e le interlocuzioni sono già iniziate anche con i rappresentanti del notariato, che sia io che il Ministro abbiamo incontrato nei giorni scorsi, e che si sono impegnati pubblicamente a creare una piattaforma online in grado di rendere tutti gli adempimenti più semplici e meno costosi, garantendo tutti gli standard di sicurezza previsti per la correttezza delle procedure e la redazione degli statuti”.
Ma proprio la piattaforma preoccupa non poco le imprese innovative secondo le quali, se i notai, realizzassero questo sistema si verrebbe a creare una situazione di monopolio sul fronte della costituzione che farebbe fuori dal mercato grandi e piccole imprese in grado di sviluppare altrettanti sistemi e altrettanti sicuri.
Una linea, quella del Mise, che Pichetto Fratin aveva già delineato alla Camera, rispondendo all’interpellanza del deputato 5 Stelle Luca Carabetta.
In quell’occasione il viceministro aveva fatto intendere l’intenzione di inserire il provvedimento nel quadro del recepimento della direttiva europea 2019/1151 che va finalizzato entro il 1° agosto 2021 ovvero nei successivi decreti attuativi. La direttiva, nel dettaglio, stabilisce che qualora siano utilizzati modelli per la costituzione online di società, vige “l’obbligo di disporre degli atti costitutivi della società redatti e certificati in forma di atti pubblici qualora non sia previsto un controllo preventivo amministrativo o giudiziario”.
La sentenza del Consiglio di Stato
A fine marzo il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Consiglio nazionale del Notariato contro il decreto del Mise che regolava la nuova modalità di istituzione delle imprese innovative. Il provvedimento del 2016 varato dallo Sviluppo economico stabiliva infatti che “l’atto costitutivo e lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l’impronta digitale di ciascuno dei sottoscrittori apposta a norma dell’art. 24 del Cad”.
La sentenza della massima Giustizia amministrativa stabilisce che, fino a nuovo intervento legislativo, le startup italiane non potranno più costituirsi gratuitamente online e dovranno sottostare ai precedenti adempimenti burocaratici previsti per la altre imprese.
Il Consiglio di Stato ribalta dunque la sentenza del Tar del Lazio che aveva respinto le ragioni dei notai e accolto quelle del Mise e dell’associazione Roma Startup.
Secondo il Consiglio di Stato “il potere esercitato dal Ministero attraverso il decreto impugnato non poteva avere alcuna portata innovativa dell’ordinamento, ovvero, nello specifico, non poteva incidere sulla tipologia degli atti necessari per la costituzione delle start up innovative, così come previsti dalla norma primaria”.
In questo senso la sentenza ricorda che in base all’art. 11 della Direttiva 2009/101/CE “in tutti gli Stati membri la cui legislazione non preveda, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, l’atto costitutivo e lo statuto della società e le loro modifiche devono rivestire la forma di atto pubblico”.
E’ evidente che, in base alla disposizione comunitaria – per il Consiglio di Stato – l’atto costitutivo e lo statuto delle società e le loro modifiche possono non rivestire la forma dell’atto pubblico se la legislazione prevede, all’atto della costituzione, un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario.
Altro punto saliente riguarda il ruolo del Registro delle Imprese: il Consiglio di Stato ha stabilito che il decreto del Mise abbia illegittimamente ampliato l’ambito dei controlli dell’Ufficio del Registro dell’imprese, “senza un’adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione (circa il rapporto tra l’atto impugnato e la legge che ne ha previsto l’emanazione valgono le considerazione già espresse a proposito del primo motivo di appello); di conseguenza, alla luce della natura del controllo effettuato dall’Ufficio del Registro nel nostro ordinamento, così come innanzi delineato, non appaiono infondati i dubbi dell’appellante circa la possibilità di ovviare alla modalità tradizionali di costituzione delle società, pena il concreto rischio di porsi in contrasto con la Direttiva citata”.