Capitalismo digitale, le norme diano più potere al consumatore

Secondo Andrew M. Odlyzko la nuova economia dei dati distruggerà i mercati in favore di cluster alimentati dalla cattura del consumatore. Non è dato sapere se sarà così. Ma norme che diano un maggiore potere contrattuale a chi consuma sono necessarie. L’analisi del commissario Agcom, Antonio Nicita

Pubblicato il 11 Nov 2015

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Il 29 ottobre scorso il Gruppo Interparlamentare Innovazione ha ospitato alla Camera la keynote del Prof. Andrew M. Odlyzko della Minnesota University sul tema “Privacy, price discrimination, and the seeds of capitalism’s destruction” alla quale è seguita un’interessante tavola rotonda alla quale ho preso parte assieme al Presidente Antitrust prof. Pitruzzella e al Dott. Lattanzi del Garante Privacy.

Odlyzko ha formulato teorie certamente lontane dal mainstream della microeconomia, soprattutto nella critica all’efficienza della discriminazione di prezzo nell’ecosistema digitale e dipinge un quadro pessimistico sul futuro stesso del capitalismo digitale. Parafrasando Marx, anche il capitalismo digitale conterrebbe in sé i semi della propria distruzione. Solo che, per Odlyzko, a differenza di Marx, la crisi di questa forma di capitalismo sarà decretata dalla fine, e non dall’affermazione, del mercato.

Al di là della visione complessiva di Odlyzko, è interessante capire da dove si genererebbe questo paradosso e se alcuni dei pericoli paventati dallo studioso meritino comunque una riflessione anche da parte di coloro che non ne condividano l’intero impianto analitico.

Con riferimento alla pratica di discriminazione di prezzo, Odlyzko concorda con la teoria microeconomica nel dire che esistono forme di discriminazione che incrementano l’efficienza allocativa, in quanto permettono la fruizione di beni e servizi da parte di soggetti la cui disponibilità a pagare non sia inferiore al costo marginale di produzione. Ciò riguarda anche le forme indirette di discriminazione che avvengano attraverso bundling di servizi e prodotti, perlomeno nel caso in cui le preferenze dei consumatori siano negativamente correlate per i diversi elementi del bundle. Naturalmente, quando le discriminazioni di prezzo avvangano a livello wholesaleda parte di imprese verticalmente integrate e titolari di risorse essenziali, o quando le discriminazioni sono selettivamente praticate d aparte di una impresa dominante a gruppi di consumatori contendibili, queste forme discriminazione sono inefficienti in quanto suscettibili di ridurre il grado di concorrenza.

Il problema si pone, per Odlyzko, quando la discriminazione è resa possibile dall’estrazione di rendita informativa detenuta in via esclusiva da parte dei nuovi profilatori dei dati nell’ecosistema digitale. Non tanto per una questione di classica tutela della privacy, quanto per il fatto che il consumatore finisce per essere ‘isolato’ dalla concorrenza e posto in una sorta di ‘after-market informativo’ nel quale l’espressione dei bisogni e lo scambio di mercato da una relazione uno-molti si trasforma in una relazione biunivoca. La ‘profilazione perfetta’, alimentata dall’inerzia e dai limiti behavioral del consumatore, alimenta la pigrizia con il paradosso che il mondo del search diventa il suo opposto e genera un consumatore immobile che si trova “a click away” da un “unico e medesimo super mediatore” che si sostituisce al mercato.

Il consumatore continua a scegliere, cioè, liberamente ma all’interno di menu personalizzati. Vero è, secondo Odlyzko, che tali menu potrebbero costituire le ‘migliori scelte’ per quel consumatore, ma il problema è che al crescere della complessità e della personalizzazione, anche il grado di comparabilità sarà sempre più difficile.

Di qui, per Odlyzko, l’annunciata fine dei mercati e delle dinamiche concorrenziali in favore di cluster alimentati dalla cattura informativa del consumatore.

Si tratta, come si vede, di un quadro piuttosto fosco nel quale, evidentemente – anche in questo caso con echi marxiani – non c’è spazio per innovazioni disruptive generate dalla spinta concorrenziale e volte a disciplinare le posizioni dominanti. Ma per Odlyzko – ed è questa l’intuizione a mio parere più innovativa nel dibattito attuale – la spinta innovativa si infrangerà sul velo informativo che circonda l’utente profilato e lo chiude al mercato come un bozzolo in un baco: alla trasparenza informativa tra utente e suo profilature corrisponderà, per Odlyzko, lo schermo impenetrabile di chi non ha accesso a quei dati, un esito tanto più pervasivo quanto più totalizzante sarà la ‘cattura informativa’ dell’utente in determinati cluster e quanto maggiori saranno i limiti alla razionalità del consumatore. L’universo dei mercati, per Odlyzko, precipiterà presto o tardi in piccoli sistemi stellari nei quali il consumatore potrà osservare solo ciò che orbita intorno a lui, esercitando si la propria ‘libera’ scelta ma in un contesto non di mercato.

Non possiamo oggi sapere se la profezia di un big bang dei mercati, inghiottiti dal buco nero del capitalismo digitale, si avvererà o meno.

Certamente, l’analisi critica di Odlyzko, specie nella parte relativa al rischio di cattura informativa e alla creazione di “aftermarket informativi”, pone questioni rilevanti per la regolazione.

Ad esempio suggerendo la necessità di indagare il pezzo mancante nel dibattito sulla net neutrality, tra il tema della consumer paid prioritization nel versante utente-provider e il tema del zero rating nel versante OTT-provider. Il rapporto di scambio tra OTT e consumatore appare il versante ad oggi trascurato nel dibattito, cristallizzato com’é sulla relazione zero pricing nel “mercato dell’attenzione”, dove avviene lo scambio implicito del dato tra OTT e provider.

Occorre allora riflettere sulla necessità di coniugare la spinta all’innovazione – che costituisce il grande ‘dono’ del web e di Internet come dice Papa Francesco – con un maggiore potere contrattuale dell’utente-cittadino sulla Rete. Nell’economia digitale, la tutela della propria ‘espressione’ sulla Rete non deve più essere solo difesa del diritto alla privacy, ma anche, e soprattutto, restituzione di potere contrattuale sulla gestione della propria proiezione sul web (privacy, copyright, proprietà e portabilità dei dati) e – perché no – anche capacità di guadagnare per il soggetto che, con la propria espressione sul web, crei il dato.

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