Caso Google, il “retroscena” politico del doppio schiaffo Ue

L’apertura dell’inchiesta formale contro BigG va ben oltre le semplici questioni antitrust. La decisione avrà impatti sulla nuova strategia per il Digital Single Market

Pubblicato il 15 Apr 2015

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Adesso Google rischia grosso. Il doppio schiaffo inferto oggi dall’Antitrust Ue al gigante di Mountain View poggia già su una semi-certezza. Su uno dei due fronti legali aperti stamane dall’esecutivo di Bruxelles, ovvero la conclusione con tanto di “incriminazione formale” (“lettera di obiezioni”, in gergo legale) dell’indagine Ue per sospetto “abuso di posizione dominante nel mercato della ricerca su internet”, la mannaia delle sanzioni appare quasi inevitabile. Lo confermano le statistiche stesse. Secondo uno studio curato dall’organizzazione Icomp, nessuna azienda finita nelle maglie di questa ulteriore e decisiva fase della procedura ne è mai uscita indenne. Cioè è stata pienamente assolta.

A questo punto lo spettro di una multa record da oltre 6 miliardi di dollari, nonostante Google trascinerebbe certamente la decisione sul banco della Corte di Giustizia europea, si fa pertanto sempre più realistico. E non depone bene il fatto che la Commissione Ue abbia stabilito l’avvio di una seconda indagine sull’ipotetica violazione delle regole antitrust Ue da parte del sistema operativo di Google per smartphones, Android. L’accusa richiama alla mente il celeberrimo caso antitrust che appena pochi anni fa travolse Microsoft. E anche qui aleggia l’ombra di un abuso di posizione dominante: tra le altre cose Bruxelles sospetta Big G di obbligare o incentivare i produttori di device mobili ad accettare “l’esclusiva pre-installazione esclusiva di applicazioni e servizi di Google”.

A conti fatti, il dato acquisito è che le indiscrezioni circolate nelle settimane scorse sono state confermate appieno. Il nuovo commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, dopo aver tenuto un basso profilo sulla vicenda ed elargito dichiarazioni alla meglio prudenti nei primi mesi di mandato, ha rotto gli indugi optando per la linea più intransigente. La stessa caldeggiata da una solida maggioranza in seno all’Europarlamento – fa testo la risoluzione sul “break up” di Big G votata da Strasburgo in novembre – e scopertamente sostenuta da paesi quali Francia e Germania.

Ma sulla quale il precedente inquilino dell’antitrust Ue, lo spagnolo Joaquín Almunia, aveva esibito ben più di un’esitazione. Al punto da esprimere, verso fine mandato, la propria frustrazione per “un’indagine che cambia continuamente forma, come un bersaglio mobile, il che la rende molto complicata”. Nel corso della stessa intervista rilasciata al Financial Times, l’ex commissario alla Concorrenza aveva evidenziato come una analoga procedura a carico del gigante del search avviata in passato dalle autorità Usa si fosse conclusa con “un nulla di fatto”, lasciando quindi intendere che una risoluzione frettolosa del caso, a suo modo di vedere, non era probabilmente auspicabile: “la Commissione ha indagato su Microsoft per 16 anni”, aveva ricordato.

La Vestager, nondimeno, non ha perso tempo. “Sono preoccupata del fatto che Google abbia dato un vantaggio sleale al proprio servizio di comparazione prezzi per lo shopping online, in contrasto con le regole antitrust comunitarie”, ha chiarito oggi. Ma ha anche voluto aprire uno spiraglio ad un esito “indolore” della procedura: “Google ha ora l’opportunità di convincere la Commissione del contrario”. Il che sembra dare credito ad un sentimento espresso nei giorni scorsi da diversi analisti. Riassumeva venerdì scorso a Reuters Mario Mariniello, economista in forza al think tank Bruegel: Vestager deciderà di usare la mano pesante ma questo non significa che abbia escluso a priori un accordo. Che se ci sarà – Google ha 10 settimane di tempo per rispondere alle “obiezioni” – dovrà per forza di cose racchiudere una mole consistente di impegni di fatto maggiore rispetto a quelli “offerti” in passato. L’indagine per abuso di posizione dominante nel mercato del search, aperta più di 4 anni fa, è stata già contrassegnata da 3 successive “proposte di conciliazione” presentate da Google per chiudere il caso, ma giudicate insufficienti dalla stessa Commissione Ue.

Ovvio, poi, che il cambio di marcia di Bruxelles sul caso Google comporti implicazioni politiche importanti per il futuro che vanno ben oltre lo svolgimento e l’esito delle due inchieste antitrust. In Europa il colosso Usa è sotto assedio su molti fronti: dalla privacy al terreno della fiscalità, passando per il copyright. Ma fin qui gli Ott non sono mai entrati nel mirino di una regolazione europea ad hoc. Il quadro potrebbe cambiare con l’imminente presentazione della Strategia Ue sul Digital Single Market programmata per maggio. Perché nel menu del pacchetto dovrebbe comparire l’ipotesi di una legislazione volta ad allineare obblighi più stringenti per le web companies in un ampio novero di settori che vanno dal mercato dell’audiovisivo alla proprietà intellettuale, passando per le telecomunicazioni e l’ecommerce.

Qualcuno parla di “neutralità delle piattaforme”, termine che diviene sempre più in voga negli ambienti politici europei ma sul cui significato pendono dubbi interpretativi. Si vedrà. Ma basta ascoltare le dichiarazioni di Günther Oettinger, commissario Ue all’Economia digitale e detrattore seriale di Google, per avere un assaggio di quanto certe idee siano ormai radicate tra le fila della Commissione. Ancora ieri, in trasferta ad Hannover, Oettinger ha lanciato l’allarme contro la dipendenza delle aziende europee da “pochi player non comunitari” e ricordato che “questo non dovrà più accadere in futuro”.

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